Di fatto però l’IMU non è in alcun modo progressiva, in quanto considera e colpisce dei singoli beni immobili, applicando percentuali fisse prestabilite che – come tali – non tengono conto della dimensione, caso per caso, dello specifico coacervo dei redditi individuali. Parimenti, essa non è correlata alla capacità contributiva, bensì è rapportata ad un bene che può anche non produrre reddito.
In altri termini, essa non viene computata – come dispone la Costituzione – in base al flusso di reddito (“capacità contributiva”) di cui dispone il contribuente, bensì al valore (del tutto ipotetico perché stabilito sulla base di indicatori teorici come i valori catastali) di un immobile che, in molti casi, non produce alcun flusso di reddito in quanto direttamente abitato dallo stesso contribuente.
La vecchia ed ormai desueta teoria secondo cui usufruire di un appartamento equivale a godere di un reddito è fuori dalla realtà perché questo reddito è solo teorico ed è il frutto di un passato risparmio (sul quale sono già state pagate le imposte). Tale risparmio inoltre serve a compensare una spesa potenziale (la locazione): in sostanza è la fruizione dilazionata di un reddito non speso. In campo fiscale, inoltre, i redditi figurativi non dovrebbero trovare spazio.
Ciò che maggiormente sconcerta è l’indifferenza che il legislatore mostra nei confronti di un dettato costituzionale, che dovrebbe costituire invece un limite invalicabile. Come può il mondo politico invocare un maggiore “senso dello Stato” quando sono proprio i politici ad averlo dimenticato portando l’Italia, dopo anni di sprechi e di corruzione, a livelli di tassazione insostenibili?
L’imposta in discorso viola, a mio avviso, anche il principio costituzionale dell’eguaglianza e della ragionevolezza (art.3: “tutti i cittadini sono…eguali davanti alla legge”) in ragione del fatto che i proprietari di immobili vengono tassati di più rispetto ad altre categorie di contribuenti che tutt’ora possiedono – legittimamente – redditi considerati esenti. L’art.53 della Costituzione, già citato, non è che la proiezione, nel campo dei tributi, del principio di eguaglianza enunciato all’art. 3.
La legge istitutiva dell’IMU (e, prima di questa, dell’ICI),inoltre, crea un caso palese di duplicazione d’imposta.
Infatti l’immobile, di per sé stesso, viene tassato in funzione di un reddito ipotetico presunto, che gli viene assegnato d’autorità, con esiti talvolta clamorosamente iniqui allorché ad interi stabili nei pregiatissimi centri storici viene attribuito un valore inferiore a quelli, più recenti, delle lontane periferie.
Tale “reddito”, va comunque ad aggiungersi al reddito IRPEF. L’ulteriore imposta, va così a colpire lo stesso bene già tassato (ed ancora, sulla base di un altro reddito presunto!): si verifica così che un identico bene viene sottoposto due volte a tassazione, con due imposte diverse solo nel nome, ma in realtà coincidono nell’oggetto colpito.
Va infine evidenziato un altro aspetto dell’imposta che la rende fortemente iniqua.
Quando – come accade di frequente – l’immobile è gravato da un mutuo ipotecario, il titolare non può dirsi “proprietario” in modo “completo” del bene. Né si può sostenere che egli fruisca del reddito “ipotetico” costruito sull’intero valore catastale. Difatti, se egli vendesse il bene, incasserebbe una somma non corrispondente al “valore” catastale, perché verrebbe comunque ridotta dell’importo residuo del mutuo. Ciò significa che il bene è frutto del reddito, non fonte di questo.
Per concludere, quindi, sono diversi e molteplici i profili di illegittimità e di iniquità sostanziali di questa imposta!
Foggia, 7 maggio 2014 Avv. Eugenio Gargiulo