Ecco un'altro motivo per considerare giusta la loro protesta.

Creato il 21 dicembre 2010 da David Incamicia @FuoriOndaBlog

di David Incamicia
Il 2011 sarà un anno nero per l'occupazione, specialmente per quella giovanile. Sì, il cosiddetto job gap, ovvero la lacuna nel mercato del lavoro, ci accompagnerà anche per tutto il prossimo anno. Come riporta il quotidiano economico Il Sole 24 Ore, "secondo le ultime rilevazioni del Centro studi di Confindustria nel 2011 l’occupazione rimarrà pressocché immobile (+0,1%), dopo il forte calo registrato nel 2010 (-1,7%, dopo il -2,6% del 2009) e riprenderà a salire solo nel 2012 (+0,9%). Il tasso di disoccupazione invece continuerà ad aumentare tra il plotone sempre più consistente di chi cerca un impiego: solo dopo aver toccato l’apice (9%) nel quarto trimestre, inizierà a scendere molto gradualmente nel corso del 2012″. 
Sono notizie sconfortanti per il nostro Paese, le ennesime, perché a questi ritmi si potrà recuperare il livello che ha preceduto la fase di recessione solo nel secondo trimestre del 2015. Dall’inizio del 2010 l'Italia ha bruciato 600 mila posti di lavoro e per l’anno prossimo il job gap sarà di ulteriori 440 mila unità in meno. Serve, in queste condizioni, una politica ferma in grado di dare una scossa al sistema produttivo. Perché gli alti tassi di disoccupazione portano non solo, come si vede, ad intollerabili disagi sociali ma pure a una ripresa asfittica.
Quali sono le soluzioni possibili? L’Italia ha un problema gravissimo, quello del debito pubblico. Un "bubbone" creato negli anni dall'egoismo dei padri il cui peso ricade oggi completamente sui figli. Ciò significa muoversi con estrema cautela e avere margini di manovra assai ristretti. A parere di molti giuslavoristi è necessario ritrovare un punto di equilibrio tra rigore dei conti pubblici e consenso sociale, oltre che incentivare fiscalmente le imprese giovanili e tagliare il più possibile la burocrazia proseguendo sulla strada della detassazione della produttività. Altri ancora ritengono che occorra passare per la riduzione del cuneo contributivo e fiscale al fine di agevolare le assunzioni nelle imprese. Purtroppo, però, con una politica debole, senza riforme e senza il recupero di risorse finanziarie diventa difficile percorrere qualsiasi strada.
Eppure non c’è tanto tempo. Il Paese non può permettersi di perdere il treno della ripresa internazionale, pena un declino senza via di ritorno. Rischio confermato dal primo "Rapporto sulla coesione sociale" dell’Istat, realizzato col Ministero del Lavoro e con l'Inps: un giovane italiano su cinque tra i 15 e i 29 anni non studia né lavora. Si tratta del 21,2% dei giovani italiani, pari a 2,044 milioni di persone, la maggior parte donne, di cui oltre la metà al Sud.
L’Istat li chiama "Neet", acronimo inglese che sta per "Not in education, employment or training". Lo sono il 18,2% dei giovani maschi (888 mila persone) e il 24,4% delle donne (1,155 milioni). La percentuale più alta si registra tra chi ha un’età tra 25 e 29 anni (26,3%). Nella fascia 15-24 anni, invece, sono il 18,3%. Oltre la metà dei giovani che non studiano né lavorano vive nel Mezzogiorno: 1,192 milioni, pari al 30,3% (il 27,4% tra gli uomini e il 33,3% tra le donne). Al Centro i Neet sono 285 mila, pari al 16,1%, mentre al Nord sono 566 mila (il 14,5%).
"Non studio, non lavoro, non guardo la tv, non vado al cinema, non faccio sport…", era il ritornello di una canzone di 15 anni fa, ritratto del nichilismo dilagante tra le nuove generazioni. Oggi è la norma per un giovane su cinque che nel limbo tra studi, formazione e mondo del lavoro non riesce a collocarsi rendendosi economicamente improduttivo e gravando sull'economia familiare a causa di una domanda di mercato troppo scarsa.
Il periodo di inoccupazione per i giovani in cerca di lavoro supera infatti l'anno nel 40% dei casi, ampliando notevolmente e in modo gravoso il bacino degli "assititi". Un dato che trova conferma nelle rilevazioni OCSE: l'Italia è ultima in questa particolare classifica, maglia nera tra ben 33 paesi presi in esame.
Ma quest’Italia, fotografata nel pieno della sua sofferenza economica, sembra essere diversa da quella continuamente narrata dal Palazzo rinchiuso nel suo bunker, che ignora l’insofferenza di ogni strato sociale, dagli studenti ai disoccupati per finire ai cassintegrati e ai precari. Certa politica, in particolare il governo, preferisce sminuire le manifestazioni e demonizzare chi protesta pacificamente e legittimamente accostandolo a pochi facinorosi. Perchè nel nostro Paese, dove si è schiavi dell'incapacità, è più facile nascondersi dietro la propaganda e dire che il problema non esiste piuttosto che affrontarlo con misure efficaci e con senso di responsabilità.

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