Echi dal futuro: venti anni di Nathan Never

Creato il 01 agosto 2011 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco

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Cronache dal futuro: la storia

Nei primi decenni del XXI secolo una Grande Catastrofe provocata dalla stupidità umana sconvolge il mondo, provocando lo spostamento dell’asse terrestre. La ricostruzione è lenta e i danni provocati al pianeta spingono a creare delle colonie orbitanti nello spazio. La vita dei terrestri si concentra intanto in poche grandi metropoli, la principale delle quali è la “Città della Costa Est”. Qui si trova l’Agenzia Alfa, formata da agenti privati che in base alle nuove disposizioni varate per tenere a freno la criminalità, combattono il crimine.

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Nathan Never è l’agente di punta: il suo passato nasconde il trauma di una famiglia distrutta a causa dei suoi errori, che hanno scavato nella sua anima un profondo senso di colpa e hanno segnato il suo fisico facendogli imbiancare precocemente i capelli. Dietro il tesserino del tutore della legge, Nathan tenta di ricominciare: il denaro gli serve per curare sua figlia rimasta in stato catatonico dopo essere stata rapita dall’assassino della madre. Ma ben presto questo motivo sfumerà nel profondo coinvolgimento in un lavoro che Nathan compie principalmente per cercare di portare un po’ di luce in un mondo martoriato. Non sarà facile: l’Agenzia si scopre infatti controllata da un oscuro burattinaio, Mister Alfa, le cui fitte trame lo vedono coinvolto in quasi tutti gli eventi e i disastri conosciuti. La lotta contro il nemico si accompagnerà quindi a un difficile confronto con quelli che Nathan credeva colleghi e amici fidati. Riguadagnata la propria autonomia, l’Alfa sarà poi coinvolta nella guerra scoppiata fra la Terra e le colonie orbitanti. E ora all’orizzonte si profila un altro conflitto: Marte infatti, controllata dai misteriosi Pretoriani, sta per dare sfogo ai suoi istinti imperialisti e ben presto attaccherà la Terra.

Il futuro attraverso il passato: temi e storia di un successo editoriale

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Mentre mi accingo a scrivere queste righe, sulla scrivania campeggiano due albi “neveriani” usciti negli ultimi tempi: il primo è lo speciale annuale (“Tre passi nel domani”), per l’occasione anticipato da dicembre a giugno e interamente a colori. Uno strillo in copertina avverte infatti che si tratta di un’uscita celebrativa, che intende festeggiare i 20 anni di vita editoriale dell’Agente Speciale Alfa. Già, perché esattamente due decadi fa, nel giugno 1991, si varava l’avventura editoriale di questa che sarebbe diventata (e rimasta) una delle testate più celebri e fortunate delle proposte targate Sergio Bonelli Editore.
Nonostante la natura speciale dell’evento editoriale, non è certo la prima volta che un lettore fedele di Nathan Never ha a che fare con il colore. Lasciando da parte le classiche scadenze legate al numero 100 e ai suoi multipli, si può infatti tornare ancora una volta a vent’anni fa, quando i primi albi furono ristampati in edizione colorata, nell’ambito di una proposta che li abbinava al settimanale “Il Sabato”. Ciononostante, però, il colore resta ancora qualcosa di abbastanza alieno all’universo neveriano. E non mi riferisco alla sua scarsa presenza, ma proprio a una ragione d’essere ontologica, connaturata a quella che è più di una scelta stilistica: è una autentica ragione d’essere. La fantascienza bonelliana è rigorosamente in bianconero e quella neveriana di più.
Non si tratta infatti di mettere semplicemente su carta un universo, ma di dargli un sapore, un carattere che naturalmente non può che essere chiaroscurale e sintetizzata nella netta contrapposizione fra i bianchi e i neri. Un po’ come quei noir realizzati negli anni Settanta da grandi registi Altman o Polanski: erano formalmente a colori, ma intimamente riecheggiavano uno spirito monocromatico, perché il loro bianconero interiore era uno specchio di quei contrasti che laceravano le anime dei loro personaggi e dei rispettivi universi. E perché il noir, per definizione, non accetta di buon grado il colore.

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Pertanto, l’albo speciale è quasi una sorta di what if… un corpo estraneo, speciale, ma utile: non fosse per lui non vedrei quanto è assolutamente ovvio, e cioè che il noir è una delle tre anime che tengono insieme questo personaggio, questo titolo, questo universo. I facili giochini da fan che pretendono di incasellare tutto, a volte ci portano a far scattare alcuni meccanismi immediati, per cui magari sappiamo che alcuni autori prediligono più di altri questa cifra hard-boiled. Penso all’esistenzialismo sempre venato di nero di Michele Medda, ma ancora di più alla professionalità di Stefano Piani, forse lo sceneggiatore che più di altri lavora con consapevolezza sulle forme del poliziesco applicato a questo racconto futuribile.

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Eccolo lì l’altro elemento: il futuro. Ovvero la fantascienza.
E’ il genere di riferimento, dopotutto, quello senza il quale Nathan Never perderebbe la sua riconoscibilità. Ricordo che, vent’anni fa, il lancio pubblicitario puntò proprio su questo: qualcuno ricorda le quarte di copertina degli albi bonelliani coevi? Era un fiorire di tavole accompagnate da un enigmatico slogan: Nathan Never lo sa! Cosa ci fa una nave abbandonata nello spazio? Nathan Never lo sa! Qual è il segreto della Fratellanza Ombra? Nathan Never lo sa! E così via. Nulla di cui stupirsi, in fondo, la fantascienza è genere di “anticipazione” per eccellenza e dunque la sfida principale era quella di creare un personaggio e un mondo che potessero allargare i nostri orizzonti e farci vedere un domani possibile e credibile.
E la sfida è stata condotta con un piglio che oggi possiamo riconoscere come arguto: parlare del futuro attraverso il passato. Nel futuro dunque avremo le astronavi, le stazioni orbitanti, le auto volanti che sono la prima immagine “futuribile” del divertentissimo “Ritorno al futuro parte II” (film che, per inciso, fu concepito proprio come lavoro sugli stereotipi del futuribile)? Assolutamente sì, nei venti anni di vita editoriale i creatori-autori Michele Medda, Antonio Serra e Bepi Vigna (ai quali merita di essere aggiunto Stefano Vietti, che oggi è il più coinvolto e prolifico) non ci hanno fatto mancare niente: mostri giganti, mutanti e mutati, guerre galattiche, viaggi nello spazio-tempo, un uomo quantico (odiato dai fans, ma a parer mio assolutamente geniale), giubbini per il teletrasporto, conquistatori di mondi e realtà parallele. C’è la versione neveriana di Star Trek (“Asteroide Argo”), quella di Gundam (il ciclo della Terra contro le stazioni orbitanti) e a volte – se dobbiamo credere agli autori – si è giocato anche d’anticipo, come accaduto con la clonazione dei dinosauri, uscita dopo Jurassic Park, ma che loro giurano di aver scritto prima e io, da fan, ci devo credere e lo faccio senza sforzo.

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E il passato cosa c’entra?
C’entra nella misura in cui il buon racconto d’anticipazione ragiona sul fluire del tempo secondo approcci per analogia, per cui ogni futuro non può che costituire la traslazione delle dinamiche che hanno mosso il passato e muovono il presente. L’esempio dei dinosauri è calzante, ma ancor più lo è quello del ritorno di Atlantide nel ciclo della “Guerra Senza Tempo”. Il futuro diventa lo scenario di un conflitto germinato nel più lontano dei passati, ma allo stesso tempo diventa anche una riflessione metanarrativa sui percorsi che hanno portato Nathan Never a esistere. Perché al suo fianco troviamo Martin Mystère, che Atlantide e Mu le aveva conosciute sulla sua testata e non poteva dunque mancare all’appuntamento – sebbene sotto forma del suo “clone” robotico. Martin Mystère era peraltro la testata su cui gli autori si erano formati in Bonelli e alla quale hanno giustamente pagato rispettosamente dazio, attraverso un omaggio futuribile che respira di passato: non possiamo capire dove andiamo se non ricordiamo da dove veniamo.

Il che fa venire in mente anche la particolare storia della stessa Bonelli e il suo rapporto con il fantastico. Oggi si tende a riconoscere a Nathan Never di avere sdoganato la fantascienza come genere fortunato nella casa milanese. Lo si fa con quel tono un po’ roboante di chi è stato colto di sorpresa e perciò non può che provare rispetto per il pioniere che ha saputo compiere una mossa tanto azzardata. Non che qui si intenda sminuire il buon lavoro svolto, però – almeno a tornare indietro con la memoria – la sensazione è che le cose non siano andate proprio così. Anzi, mi pare che all’epoca l’appuntamento con la fantascienza fosse ritenuto inevitabile proprio per quella mistura di passato/presente e quella capacità di sfondare le strette maglie del genere puro che dovrebbe pur essere riconosciuta al “conservatore” Bonelli. Basti pensare agli alieni nelle storie western di Tex o nelle avventure di Mister No, per non parlare di Dylan Dog e del già citato Martin Mystère, che in quanto indagatore dell’incubo l’uno e del mistero l’altro una capatina nella fantascienza non se la potevano certo risparmiare. Quindi, sì, Medda, Serra e Vigna hanno creato un universo che possiede una sua autosufficienza (rimandiamo a dopo le diatribe sull’originalità) ma non sono spuntati dal nulla. Raccoglievano ciò che avevano costruito in prima persona, su alcune delle testate citate, o che prima di loro era arrivato dai colleghi. Il futuro attraverso il passato, insomma. In una forma di consapevolezza critica delle strade che potevano essere battute e ampliate, ma anche di rispetto per una tradizione che si sente innanzitutto come propria e che poi, semplicemente, si ama.

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Nathan Never secondo de Angelis.

Qui veniamo alla terza grande direttrice della serie, dopo il noir e l’anticipazione: il citazionismo. Che subito richiama la questione dell’originalità. E’ senza dubbio l’aspetto più controverso, quello in virtù del quale sono piovute accuse di riciclaggio sfrenato di idee, tavole, soluzioni narrative o quant’altro. Si potrebbero liquidare con sufficienza, ma invece preferisco accettarle e prenderle come punto di partenza dell’analisi. E’ vero, Nathan Never “copia”. Ma lo fa bene. Nel senso che gli sceneggiatori hanno saputo attingere dai loro modelli, dando forma a un universo che nel suo essere derivativo ha una sua ragione d’essere, perché i meccanismi del racconto per immagini sono gestiti con scioltezza e risultano appassionanti. D’altra parte non era certo il solo: probabilmente nella classe Bonelli il compagno di banco era Dylan Dog, quello che copiava di più e passava le soluzioni sottobanco. Ma se nell’horror la citazione anche pesante fa parte del gioco (ci hanno costruito pure una saga cinematografica sopra, quella di Scream) evidentemente un equivoco vuole che la fantascienza non possa farlo. Forse perché deve anticipare, guardare avanti e non indietro. E mi pare di aver chiarito che la faccenda è un po’ più complicata di così.
In effetti, a guardare con attenzione il citazionismo neveriano, ci si rende conto di come esso abbia fornito un humus primario su cui si è costruito in maniera talmente fitta da rendere astratti quei modelli così concreti cui si era abilmente attinto. Per cui siamo tutti d’accordo che la Città e il concept stesso del Nathan “musone” e malinconico siano una derivazione diretta del Ridley Scott di Blade Runner. Ma, guarda un po’, uno dei primi albi che affrontano direttamente il tema della città chiama invece in causa Dante e l’Inferno della Divina Commedia, per la struttura “a livelli” della metropoli. Siamo altrettanto consapevoli che Antonio Serra (che dei padri neveriani è quello più citazionista in assoluto!) adora l’immaginario della fantascienza nipponica ipertecnologico e abitato da mostri giganti. Però quando poi mette mano al “suo” Godzilla, ne fa una creatura ammalata di cancro, derivata dagli esperimenti del Jurassic Park. Che già da solo è un cortocircuito memorabile, perché “restituisce” a Spielberg la citazione verso il Re dei mostri nipponico (confrontate l’apparizione di Godzilla nel primo film del 1954 e quella del T-Rex nel primo Jurassic Park per credere); e poi anticipa il finale dello stesso Godzilla vs Destroyer, che qualche anno dopo vede il sauro atomico giapponese non riuscire più a controllare le radiazioni del suo corpo. Cosa ci insegna tutto questo? Che Nathan Never è soggetto attivo in quell’immaginario che contribuisce a rimettere in circolo, e che i suoi plagi altro non sono che parte di quel meccanismo di scomposizione e ricomposizione degli elementi narrativi, che compongono la cosiddetta narrazione postmoderna.

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I tecnodroidi di De Angelis

Agente Speciale Alfa: il personaggio Nathan Never

Il fulcro di tutto questo è lui: Nathan Never. Un personaggio interessante proprio per come riesce a riassumere tutto quello finora evidenziato. Iconicamente noir nel suo look dimesso, nella barba incolta, nell’impermeabile con cui si muove per le strade della Città, nel passato burrascoso. Un’icona fuori tempo, che sembra quasi uscita da un film di John Carpenter, ma che al cinismo di uno Snake Plissken preferisce la malinconia di un Rick Deckart combinata con una sete di giustizia vicina agli eroi americani alla Robert Redford. Quindi anche una figura di sintesi cinefila, un frullato di citazioni. Ma soprattutto il vero fautore dell’anticipazione attraverso il passato. Perché – ed è uno degli aspetti che trovo più affascinanti – in un mondo caotico dove le vestigia del passato sono rimescolate in un caos dal quale l’uomo della strada non riesce a districarsi, Nathan Never sembra possedere una particolare forza cognitiva. Cultore del passato, ne conosce opere, autori, eventi. E’ un personaggio che potremmo definire colto, intelligente, consapevole di ciò che ha portato alla catastrofe che ha trasformato il pianeta (e che non a caso era stata predetta da uno dei suoi avi prima che si verificasse). Ma che nonostante questo, non solo non riesce a prevenire i problemi che si presenteranno di fronte al mondo, ma addirittura spesso li determina.

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Nathan Never #100

Il senno di poi è una gran cosa, perché ci permette di invertire il percorso fin qui seguito e rileggere il futuro alla luce del passato. In questo modo possiamo notare come le scelte di Nathan – sempre compiute in buona fede, naturalmente – alla prova del tempo si rivelino fallimentari. E’ lui a opporsi a un’ufficiale (non è un errore, è una donna) dell’esercito che sta mettendo all’opera un piano per impedire una futura guerra fra la Terra e le Stazioni Orbitanti (che infatti avverrà). E’ lui a impedire la fine del primo esemplare di quella che sarà la futura genia dei Tecnodroidi che flagelleranno il mondo del futuro. E sarà interessante seguire l’attuale Guerra dei Mondi proprio per vedere quanto seminato dalle sue azioni del recente passato avrà prodotto questo nuovo conflitto galattico. Medda, Serra e Vigna sono bravi a scompaginare le carte quel tanto che basta a farci credere che la colpa sia dei supercattivi di turno (in primis il “burattinaio” Mister Alfa), ma la realtà è lampante nell’accusare il nostro (anti)eroe.
Il che naturalmente ci riporta alla radice stessa del noir, la lotta contro un Destino che si rivela infido e naturalmente invincibile, in grado di determinare il Male anche dalle azioni svolte a fin di bene. In ultima parola: a dettare le cifre di una visione che, pur nella solarità di molte avventure, era e resta pessimista.
Più che a una conclusione nel merito di questa constatazione, mi piace però giungere a un’impressione relativa al metodo. Trovo infatti che, nella consapevolezza dei meccanismi narrativi che la storia dimostra, si nasconda la chiave di lettura più lampante di questa testata. Richiamiamo allora alla memoria la Fratellanza Ombra, questa misteriosa etnia nata nel futuro e giunta nel presente neveriano attraverso uno squarcio temporale, per poi generare se stessa in un circolo senza fine. E’ l’immagine che più di ogni altra riassume e sintetizza la formula neveriana in tutte le sue articolazioni. Quelle fra passato e presente, fra memoria e anticipazione, fra generi e capacità di stare sui personaggi e suscitare empatia per le loro avventure.

Divide et impera: gli autori

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Nathan Never di Castellini

Non è facile raccontare vent’anni di storia editoriale attraverso le biografie, gli stili e le scelte di chi ha messo in piedi questo universo. Tante sono le menti e le braccia dietro un successo, più o meno quante sono le citazioni che la saga naturalmente sciorina in ogni albo, al punto che è preferibile rimandare il lettore ai siti ufficiali degli autori o alle pagine di Wikipedia. E’ più interessante notare come il tempo ancora una volta alteri le percezioni e permetta di giungere a conclusioni distanti da quelle che si potevano trarre due decenni fa. I creatori originali di Nathan Never, i “tre sardi” Michele Medda, Antonio Serra e Bepi Vigna, sono oggi infatti meno prolifici di un tempo e all’aria entusiasta e un po’ incosciente degli esordi sembrano preferire – non si sa quanto consapevolmente o meno – l’attitudine del veterano che ha creato un universo ormai capace di vivere di vita propria e per questo può delegare ad altri la fatica della creazione preferendo un lavoro dietro le quinte, salvo saltuari ritorni.
Anche per questo va reso ampio merito a Stefano Vietti, subentrato in corsa e capace di riassumere bene le caratteristiche dei tre autori, cui unisce una passione tutta personale per il realismo e la strategia (non a caso gli eventi bellici lo vedono sempre in prima linea). Sul fronte dei disegni si è assistito anche a un processo similare. L’entusiasmo barocco delle tavole di Claudio Castellini (poi emigrato alla Marvel, abbandonando il lavoro di copertinista e creatore grafico) si è stemperato nel tono più riflessivo e noir delle tavole di Roberto De Angelis (copertinista attuale) o nelle alchimie hi-tech di Max Bertolini (autore delle cover per alcune testate collaterali). La sintesi ancora una volta a chi riesce a fondere le varie anime fra loro, ovvero l’attuale designer (e fedele sodale di Vietti) Giancarlo Olivares. Una nuova generazione che aiuta questo mondo a restare coeso alla matrice originale, pur evolvendo.

Riferimenti:
Sergio Bonelli Editore: www.sergiobonellieditore.it


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