Piove. Fitte gocce scendono a terra. Si sono formati le prime pozzanghere in cui si riflette la luce dei lampioni, insuffiente nel rischiarare la strada. Un uomo corre, sul marciapiede deserto, in direzione della fermata del Metro. Indossa un impermeabile beige i cui lembi sembrano sospesi dietro di lui, quasi contrari alla direzione che ha preso. Paul prosegue, scende i pochi gradini, arriva fino dinanzi alla sbarra. Non ha guardato la direzione. Non gli importa. Ma a quel punto ricorda di non avere biglietti ne soldi. Una signora dietro di lui inizia a mostrarsi impaziente, Paul si sposta di lato, attaccato al muro di piastrelle bianche e pubblicità di film e spettacoli. Un rifugio provvisorio.
Poco distante una donna è ferma davanti a un portone, la pioggia le ha appiattito i capelli che scivolano ai lati del viso con la grazia di rivoli di acqua che si intrecciano. Deve cercare le chiavi, una mano è infilata nella tasca, l'altra contro il portone, il pugno chiuso appoggiato come un bussare pentito. Le dita nella tasca incontrano qualcosa di freddo, un brivido la avvolge mentre afferra le chiavi e le solleva infilandole nella toppa. Due giri. La maniglia si abbassa. E' ancora chiusa. Ancora un giro e può entrare. L'atrio si illumina. Claire chiude la porta dietro di sè e scivola a terra, la calza smagliata, le ginocchia a contatto con il marmo, gli occhi rivolti al pavimento.
Un lampo illumina il cielo seguito a poca distanza da un tuono fragoroso. Paul si riscuote dal suo torpore, ripercorre i gradini, esce in superficie, l'acqua lo investe implacabile, il cielo è macchiato di lampi, l'uomo ripercorre il tratto di marciapiede in direzione contraria, fino ad arrivare davanti a un portone. Sta per suonare quando lo vede aprirsi lentamente. Nell'ingresso si staglia il profilo di una donna, una pozza d'acqua si allarga ai suoi piedi, una calza smagliata accentua la sua espressione smarrita.