Ecologia? Nella Geopolitica del Futuro

Creato il 10 gennaio 2014 da Idispacci @IDispacci

Gli equilibri geostrategici tra le varie potenze economiche e politiche possono essere influenzati dalla condizione dell'ecosistema-Terra e da quelli dei vari continenti e delle varie regioni del pianeta? La risposta è probabilmente positiva, e non sarebbe difficile dimostrare il declino di antiche civiltà in seguito a sconvolgimenti climatici o ambientali.

Ma quale potrebbe allora essere la geopolitica disegnata dallo sfruttamento delle risorse rinnovabili? E in che misura ne verrà influenzata la politica internazionale? Riusciamo ad immaginare gli USA, l'Europa, il Sud Africa non dipendenti dal petrolio? La Russia emancipata dal gas e dall'uranio? Il mondo industrializzato completamente indipendente dal nucleare? Il mercato massificato e consumista esente dall'utilizzo di plastiche, se non per quelle riciclate o biodegradabili?

Si devono chiarire alcune questioni. Anzitutto bisogna ribadire che la scelta delle energie rinnovabili in campo energetico rimane l'opzione più sensata nell'attuale contesto di forte crescita demografica e di crescente inquinamento dell'aria e del suolo; ma per quanto lungimirante questa scelta non è certamente obbligata, almeno per il momento.

È molto triste vedere come nazioni economicamente "avanzate" come Canada, Russia e Danimarca siano già ora in attrito per la contesa di risorse tradizionali presenti nel sottosuolo artico. Ma non c'è dubbio che sul lungo periodo anche lo sfruttamento di quei giacimenti, in una regione così impervia produrrà più svantaggi che vantaggi, e potrebbe rivelarsi addirittura economicamente controproducente.

Da anni i paesi industrializzati procedono con la sintetizzazione di carburanti come il diesel a partire da vegetali (il cosiddetto eco-diesel), e per quanto possa sembrare energeticamente assurdo1 e moralmente riprovevole in un mondo flagellato dalla fame in realtà tale opzione può dare ulteriori anni di vita a questo tipo di carburante.

Non c'è dubbio comunque che in un futuro più o meno lontano la scelta delle energie rinnovabili sia praticamente inevitabile per qualunque economia industrializzata. Questo non per un autentico esaurimento delle stesse risorse tradizionali, alquanto improbabile in tempi brevi (a parte per eccezioni come l'uranio), quanto per un inevitabile aumento dei prezzi, che porrebbe le energie rinnovabili su un piano superiore se messe in competizione con quelle tradizionali.

Una riconversione industriale che segua i nuovi criteri energetici è possibile o rimane un'ipotesi fantascientifica? Sono credibili gli ecologisti più estremisti, che invocano una svolta rapida e radicale? O bisogna prestar fede a chi sostiene che i costi sarebbero troppo elevati e i tempi comunque lunghi?
La questione andrebbe posta sotto un altro punto di vista, perché come detto con l'attuale crescita demografica e l'attuale tasso di sviluppo di molte nazioni il problema diventerà proprio il costo delle risorse energetiche, e non c'è dubbio che tra il sole e il gas inizierà a convenire il primo (nonostante l'indiscutibile maggiore efficienza del secondo). E bisogna ricordare che ogni impianto industriale deve essere ammodernato dopo un certo numero di anni, a prescindere dalle nuove esigenze energetiche.

Il vero problema non è dunque di costi, ma di tempistiche. Ovvero: bisognerà attendere molto per una riconversione industriale in senso eco-sostenibile? La risposta a questa domanda è complessa, perché tocca gli interessi economici di grandi monopoli finanziari-industriali e le scelte politiche che dovranno compiere i governi.
Il problema energetico, dunque, rientra nel più complesso rapporto tra finanza e stati: solo gli ultimi possono fornire regole salde che impongano ai primi modalità e tempistiche che indirizzino la riconversione industriale.
Nell'attuale panorama economico, per il momento (e nonostante un sempre più diffuso malessere sociale), sembra aver vinto l'idea della deregulation e della libertà dei monopoli finanziari. Dati questi presupposti, e viste le ristrettezze economiche di molti stati industrializzati, è molto probabile che siano piuttosto i monopoli finanziari a dettare queste tempistiche.

Sicuramente comunque, le nazioni che riusciranno ad ottimizzare il proprio consumo energetico riducendo gli sprechi e quelle che sapranno sfruttare prima di altre le risorse energetiche rinnovabili, otterranno sul lungo termine indiscutibili vantaggi economici, anche nel processo di riconversione energetica (che in alcune nazioni è pienamente avviato).
Inoltre, buona parte delle risorse energetiche rinnovabili (sole, vento, biomasse) sono accessibili ad ogni nazione del mondo. Questo fatto potrà dunque scongiurare, almeno in parte, l'accumulazione del capitale energetico nelle mani di pochi paesi produttori, come avvenuto nel caso del petrolio (e sperimentato amaramente dall'Occidente nel 1973).
In quest'ottica, invece, si può affermare che, molto probabilmente, le nazioni che avranno più dimestichezza con le energie rinnovabili deterranno per un certo tempo un vantaggio energetico sulle altre. Ma non è mai troppo tardi e, soprattutto per nazioni dal basso consumo di energia pro capite, riconvertire la propria economia potrebbe essere un processo dispendioso ma relativamente rapido.

È molto probabile comunque che già nel giro di pochi anni molte nazioni inizino a seguire l'esempio degli Stati Uniti, accumulando vaste riserve di scorte energetiche (in particolare di uranio e di combustibili fossili) a scopi militari. Non c'è dubbio infatti che un carro armato che consumi cinque litri di benzina per chilometro difficilmente possa essere propulso da un motore elettrico.
Questo fenomeno produrrà due effetti: da un lato, la tesaurizzazione dei combustibili porterà ad una lievitazione dei prezzi, e li renderà progressivamente meno competitivi rispetto alle fonti energetiche eco-sostenibili.

Inoltre, la penuria di carburanti efficienti come la benzina porterà ad un'esplosione dei costi di mantenimento delle forze armate meccanizzate e delle stesse operazioni belliche. Questo secondo problema potrà solo parzialmente essere risolto dall'idrogeno: un carburante abbastanza efficiente ma comunque non ai livelli della benzina, più instabile e più difficile da immagazzinare.

È dunque possibile che combattere una guerra possa diventare un'operazione ancora più costosa di quanto già non lo sia adesso.

Sicuramente l'aumento della popolazione porterà a nuovi attriti tra nazioni, e la diminuzione delle fonti energetiche tradizionali potrebbe innescare conflitti per il loro possesso (come d'altronde avviene da millenni). Inoltre, il variare delle temperature potrebbe portare a pesanti modifiche dell'ecosistema terrestre, ridisegnando, almeno in parte anche la geografia politica di alcune aree.
Ma gli aumentati costi necessari alla conduzione delle operazioni militari potranno trasformare i conflitti in azzardi anche dal punto di vista energetico.

Comunque per gli stati più bellicosi l'alternativa è dietro l'angolo e ha poco di fantascientifico: il ritorno ad una guerra semi-meccanizzata, improntata più sull'utilizzo di masse umane e sull'artiglieria convenzionale che su veicoli e aviazione (conflitti più simili alla Seconda Guerra Mondiale che non alla Seconda Guerra del Golfo).

È indubbio che l'incremento demografico di molte nazioni si poggi soprattutto sull'utilizzo di materie energetiche non rinnovabili e inquinanti, più che su un instabile e spesso discontinuo aumento del benessere.
È grazie alla meccanizzazione dei mezzi di produzione che sono stati possibili l'agricoltura e l'allevamento di massa, il disboscamento estensivo e perfino la demolizione di ostacoli orografici come colline e crinali.
Un simile processo di antropizzazione dell'ecosistema terrestre difficilmente potrà procedere altrettanto speditamente impiegando combustibili rinnovabili come l'idrogeno o fonti energetiche come il solare o l'eolico.

L'incremento demografico terrestre assumerà ben presto proporzioni drammatiche. Già adesso l'impoverimento della fauna ittica, il disboscamento sistematico, l'inquinamento del suolo, l'estinzione di numerose specie viventi provocano problemi ecologici di difficile soluzione.
L'auspicio è dunque che il passaggio a fonti energetiche eco-sostenibili possa comportare, oltre ad una diminuzione dell'inquinamento atmosferico e dei terreni, un rallentamento della crescita demografica2.

In ogni caso, l'ecologismo propone alternative concrete alla diminuzione delle risorse minerali ed energetiche, oltre ovviamente al drammatico problema dell'inquinamento del suolo, dell'aria e delle acque (vera e propria tassa sullo sviluppo che la nostra economia farà pagare alle generazioni future). Tali alternative non potranno essere ignorate dai governi dei paesi industrializzati, a prescindere dal proprio sistema politico, dalle proprie tradizioni e dalle proprie strategie.
Per questo, è possibile che alcune scelte ecologiste si modelleranno sul sistema sociale e politico del paese che le attuerà, proprio come, almeno in un primo momento, lo sono stati tutti gli altri modelli economici attuati dalle società industriali.

Senza dubbio, l'ecologismo è uno strumento economico e politico. Tendenzialmente esso non avvalora un'ideologia a discapito di un'altra, nonostante possa essere considerato sostan-zialmente anti-liberista e improntato verso una regolamentazione statale dell'economia3.
Ma una riforma dell'economia in senso ecologista non necessariamente porterà ad una revisione dei rapporti di potere tra capitalisti (industriali, imprenditori ecc.) e lavoratori. La Greeneconomy sembra anzi seguire un percorso diverso, più vicino al sistema liberal-democratico che a quello di decrescita.

Per questo, chi si aspetta una rivoluzione ecologica stia attento: non necessariamente le riforme economiche e produttive porteranno a un sommovimento politico e sociale; potranno anzi avvenire gradualmente, passando in sordina senza sconvolgere l'equilibrio politico e geo-politico mondiale.

Note:

1=Bisogna ricordare che attualmente l'efficienza dei pannelli fotovoltaici è doppia rispetto a quindici anni fa (attestandosi al 15% circa) ed è destinata ad aumentare ancora. Di contro, secondo l'enciclopedia Treccani online: L'efficienza termodinamica [della fotosintesi] è minore del 10% [...] Se poi si considera l'intero organismoe non solo la luce assorbita ma quella incidente totale, allora l'efficienza scende fino a una media del 1% [...]Che dire allora dei cosiddetti biocarburanti, come l'etanolo ricavato dalla fermentazione degli zuccheri di piante (per es. le barbabietole) che ne contengono in alto tenore? Si può solo constatare che se si intende ottenerli da colture appositamente impiantate, si tratta di una follia. L'efficienza finale è infatti quasi nulla. ( http://www.treccani.it/scuola/tesine/fotosintesi/engelmann.html) .

2=Ed è possibile che alcune nazioni sovrappopolate seguano l'esempio cinese imponendo politiche di controllo demografico.

3=Bisogna comunque considerare che buona parte di tali argomentazioni vengono portate in base a principi morali più che ideologici. Buona parte del movimento ecologista internazionale (come Greenpeace) pur mostrando forti tendenze anticapitaliste non ha mai simpatizzato per gli esperimenti economici socialisti, spesso ecologicamente dannosi quanto se non più di quelli portati avanti dalle economie capitalistiche.


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