Economia reale e politiche energetiche: il caso Italia, un fallimento industriale annunciato

Da Metallirari @metallirari

Gli effetti della politica energetica italiana stanno manifestandosi in tutta la loro dirompenza. I primi a subirne le conseguenze sono tutti i settori industriali che vedono erosa la propria competitività da costi per l’energia molto più alti rispetto ai diretti concorrenti europei ed extra-europei. Sono stati contabilizzati circa il 35% di costi in più rispetto alla media europea, ma parlando di medie statistiche possiamo immaginare cosa questo significhi per settori industriali ad intenso uso di energia, come per esempio il settore siderurgico. Gli effetti di scelte energetiche fatte nel passato e mantenute nel presente colpiscono tutte le aziende industriali che, perdendo competitività, hanno solo due opzioni: cessare l’attività produttiva oppure trasferirla in paesi dove l’energia costa meno. 

Il fenomeno di aziende che chiudono o si trasferiscono all’estero è sotto agli occhi di tutti e l’intera economia reale italiana si è contratta e sta continuando a regredire a causa di questo fenomeno. Inoltre anche le famiglie stanno pagando il conto, o meglio le bollette, di una politica energetica che non ha brillato per lungimiranza.

Fino a qui parliamo della cronaca del passato e del presente. Ma nel futuro, cosa ci attende mantenendo in essere l’attuale politica energetica? Per la verità le nostre scelte energetiche non sono state delle vere e proprie scelte, con strategie, obbiettivi e priorità (giuste o sbagliate) ma una progressiva stratificazioni di non-scelte, veti e divieti, buoni propositi superficiali e populisti che si sono tradotte in un risultato abbastanza semplice: “l’Italia ha deciso di non decide la propria politica energetica, lasciando la scelta ad altri paesi, poiché adesso e nel futuro comprerà l’energia (qualsiasi tipo di energia compresa quella nucleare) dall’estero pagando quello che c’è da pagare”, come ha detto un famoso commentatore internazionale.

Per comprendere fino in fondo cosa significa questa scelta, possiamo immaginare a qualcosa che ci è molto familiare: l’acqua. Immaginiamo una nazione non autosufficiente per i propri fabbisogni idrici che, anzichè investire per procurarsi l’acqua necessaria dal proprio territorio, decidesse di comprarla dall’estero, accettando prezzi e condizioni dettate dal fornitore. Cosa succederebbe se le forniture fossero interrotte o se il fornitore aumentasse il prezzo dell’acqua a livelli insostenibili? Molto semplice, le opzioni sarebbero o di pagare o di morire. Poichè l’energia è l’acqua del settore industriale, è chiaro il motivo per cui molte aziende industriali chiudono o perdono sempre più competitività.

L’Italia importa l’85% del proprio fabbisogno energetico. Insieme alla Francia fa un basso ricorso al carbone, ma al contrario ha rinunciato al nucleare; il paese dipende eccessivamente dalle importazioni e ha un mix energetico squilibrato in quanto l’utilizzo degli idrocarburi ha un peso eccessivo.

Da questa totale e cieca dipendenza dall’estero, non c’è da aspettarsi nulla di buono nel futuro. È di questi giorni la notizia che l’amministratore delegato dell’ENI ha iniziato a mettere le mani avanti, rivelando una notizia che potrebbe avere un effetto deflagrante sul sistema energetico europeo e di conseguenza italiano: gli Stati Uniti inizieranno a vendere sul mercato europeo lo shale gas in forma liquida prodotto sul proprio territorio.

Lo shale gas (La rivoluzione dello “shale gas”) è un gas che ha prodotto negli Stati Uniti un abbassamento clamoroso dei prezzi energetici e ha consentito al paese di ridurre drasticamente i consumi di petrolio. Una vera rivoluzione di tutto il mercato energetico internazionale, grazie ad una fonte energetica tradizionale che sovvertirà equilibri e protagonisti di questo mercato. Gli Stati Uniti ne producono in abbondanza e grazie alle nuove tecnologie di trasporto e conservazione del gas potranno “inondare” anche il mercato europeo. Una buona notizia per i consumatori europei ma una pessima notizia per i consumatori italiani.

Una buona parte degli idrocarburi che l’Italia importa dall’estero, proviene da gas dalla Russia, dalla Libia e dall’Algeria, nazioni con le quali il paese è legato da contratti a lungo termine (20 o 30 anni) stipulati con l’intento di ottenere una salvaguardia energetica duratura. E i prezzi sono stati ancorati al prezzo del petrolio. Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’ENI, ha dichiarato che cercherà di rinegoziare tutti i contratti per adeguarli al nuovo scenario energetico che si prefigura. Con quali risultati? Con quali penali? Con quali alternative? Forse la risposta a queste domande non ha molta importanza, dal momento che la politica energetica italiana è quella di pagare senza discutere, come un gentiluomo d’altri tempi che volutamente non si prende la briga di controllare il conto del ristorante. Peccato che il conto sia quello del destino della nostra economia reale e quindi di tutto il nostro paese.

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