Economics for dummies/5

Da Iomemestessa

L’ho letta tutta, la bozza d’accordo greca. Almeno le parti che sono state pubblicate. L’ho letta più volte. Mai fidarsi dei commenti tirati via di giornali e tv. Mai come in questa occasione, stanno cavalcando l’onda dell’emotività. Senza leggere tra le righe. Che leggere tra le righe, sia detto per inciso, è roba che costa. Tempo e fatica, per dirne due.

Tra la prima e la seconda bozza è passato un referendum e il blocco dei prelievi bancari. Tra la prima e la seconda bozza non passa tutta questa differenza.

Sulla puntata precedente nei commenti, è stato fatto notare che questa non è l’idea che avevamo d’Europa.

Gaberricci, a casa discutibili ne parla in maniera anche più estesa. E dicendo cose (anche) condivisibili, soprattutto per quel che concerne lo spirito europeo. Ma per testare la pochezza di spirito europeo, non serviva la Grecia. Bastano anche i migranti a Lampedusa. L’Europa non è un luogo di persone ma di regole ed accordi. Può piacere o non piacere, se non piace, conviene accomodarsi altrove. Non si intravedono grandi cambiamenti nel breve termine.

Ambo le parti hanno tirato dalla loro la coperta. Corta. Ne è discesa una sostanziale disinformazione che non ha fatto il bene di nessuno. Non dei greci che hanno dovuto subire una delle peggiori cazzate politiche della storia, non del resto d’Europa che questa vicenda poteva gestire infinite volte meglio.

E’ giusto far vedere la fatica quotidiana dei greci. Ma sarebbe giusto, anche, dare un’informazione economica equidistante, corretta e spiegata con semplicità. Facile? Difficile? Né l’uno né l’altro. E comunque un giornalista economico dovrebbe saperlo fare. Se non lo sa fare, o non lo sa fare sta facendo un lavoro inadatto alle sue capacità. Oppure sta servendo qualcuno. In ogni caso, non è una bella cosa.

Si parla a gran voce di ristrutturazione del debito greco. Tradotto: di riduzione dello stesso. Il FMI (che vuole recuperare il prima possibile i suoi soldi) ritiene che il debito greco non sia sostenibile e come tale vada ridotto. La Germania (miiii come son cattivi ‘sti tedeschi) sostiene invece che la Grecia sta già godendo di un sostanziale condono. E quindi niente riduzioni ulteriori.

Ciò che dice il FMI è vero, se parliamo della restituzione del capitale. Ma tralascia il fatto che nessuno pensa seriamente che quel debito verrà mai estinto. Qui si parla, di restituzione degli interessi.

Gli oneri da interesse della Grecia erano al 7.5% del PIL nel 2011 (al primo tracollo) sono stati portati al 4% nel 2014. Prima dell’uragano Tsipras erano al 2.2%. Quello dell’Italia (ma anche di Paesi più solidi di noi come il Belgio) viaggia intorno al 5%.

In sostanza, su un debito inferiore corrispondiamo interessi superiori. E questo è un fatto.

Inoltre, la Grecia superato l’annus horribilis del 2015 (con la restituzione di 25 miliardi) non ha ulteriori grandi scogli. Comincerà a rimborsare i Paesi europei dal 2020 e il fondo salvataggi dal 2022, con una dilazione fino al 2055.

La chiusura delle banche, i prelievi da 60 Euro (e i pensionati in lacrime) sono causati certamente dalla situazione contingente (e quindi dalla rigidità oggettivamente eccessiva dell’Europa) ma anche dalla superficialità di Tsipras e Varoufakis.

Non lo dice la Merkel (che è tedesca e in quanto tale cattiva) ma Kouvelakis. Un dirigente di Syriza, non il fratello di Schauble. Quando si comincia ad ipotizzare il referendum, Lafazanis, uno dei più fieri oppositori della trojka approva, ma avanza il sospetto che la BCE taglierà la residua liquidità alle banche greche. Tutti ridono. In realtà il 27 giugno la BCE bloccherà la liquidità d’emergenza alle Bancher greche perchè in caso di referendum sull’adesione alla comunità, esiste una norma che blocca in automatico l’erogazione di ulteriore liquidità. Si può anche essere sprezzanti, ma la disinformazione a certi livelli diventa dilettantismo.

Un episodio riferito da Stathis Kouvelakis, un dirigente di Syriza, è illuminante riguardo al clima che ha portato alla chiusura delle banche. Il 26 giugno Tsipras raccoglie i fedelissimi per decidere sul referendum contro l’accordo europeo. Kouvelakis è lì. Panagiotis Lafazanis, il leader dei «duri», approva il referendum, ma prevede che l’Europa avrebbe reagito tagliando la liquidità alle banche. Tutti nella stanza scoppiano a ridere. I fatti sarebbero andati diversamente. La Bce ha sì bloccato il 27 giugno la liquidità di emergenza per le banche greche, non per ritorsione ma perché vincolata dalla legge. Eppure quella risata rivela come Tsipras e i suoi non avessero colto la fragilità della situazione.

Altra cosa non del tutto vera è il fatto che i miliardi di Euro fluiti dai pacchetti di aiuti siano finiti nelle tasche delle banche estere. Ciò è assolutamente vero. Le banche europee si sono risanate depurandosi dei titoli spazzatura greci. e meno male aggiungerei, se no l’effetto contagio era assicurato e non sarebbe rimasto in piedi nessuno dei paesi dell’area Euro.

E’ vero però anche che i Greci avevano investito in abbondanza sui titoli di stato del loro Paese. Quindi senza aiuti i loro risparmi sarebbe finiti direttamente nello scarico. Che non era, comunque, un’ipotesi preferibile.

L’austerity avrebbe distrutto l’economia greca. Senz’altro. poi Tispras e varoufakis ci hanno messo su il carico da 90.

La Grecia aveva ripreso a crescere e stava arrivando (a gennaio) ad un aumento del 3% circa del PIL. L’ascesa era iniziata già nel terzo trimestre del 2014, in ragione di una buona stagione turistica che aveva tutte le caratteristiche per essere anche migliore nel 2015 (con la caduta libera causa IS di altre destinazioni low cost quali Sharm e l’Egitto, la Tunisia e il Marocco).

Cos’è successo? Il governo Tsipras ha congelato i pagamenti alle imprese per portare avanti il negoziato senza nuovi prestiti. Ora. Io non so Varoufakis come la pensi, ma non occorre essere dei fini economisti per capire che se lo stato smette in toto di pagare le aziende creditrici sue proprie, le stesse o falliranno, o, nella migliore delle ipotesi non erogheranno stipendi (deprimendo i consumi) e non pagheranno i contributi previdenziali (mandando ancora più in rosso la già agonizzante previdenza sociale).

Il risultato è stata la paralisi dei consumi e degli investimenti. E il crollo del PIL. Senza contare che anche se un investitore estero avesse una pur minima idea di investire in Grecia se ne terrebbe accuratamente alla larga.

Se la Grecia dovesse uscire dall’Euro i soldi investiti varrebbero, più o meno, come la carta igienica. Non si può parlare di uscita dall’Euro un giorno sì e uno no. O si esce (con un colpo secco, come quando si leva un cerotto) o si sta dentro. A tentennare se ne esce sempre indeboliti.

La riforma delle pensioni era uno strumento indispensabile. Posto che lo Stato ripianava mediamente, ogni anno, 18 miliardi di Euro. Ed era l’unica soluzione affinché gli assegni venissero pagati.

Prima della crisi, le pensioni greche somigliavano a quelle italiane di trent’anni fa. Calcolate in base agli ultimi cinque anni di stipendio, come nel vecchio sistema italiano “retributivo”, quello riformato nel 1995 (20 anni fa) da Dini che introdusse il “contributivo”. In media i pensionati greci intascavano il 96% dell’ultimo stipendio (oggi, la metà). Potevano ritirarsi dal lavoro dopo 37 anni di contributi o a 57 anni, Ma se facevano lavori usuranti, bastavano 53 anni di età.  Il problema è che le professioni usuranti erano 580 (praticamente tutte) e includevano parrucchieri, hostess dell’Olympia, speaker televisivi e radiofonici, suonatori di strumenti a fiato… Il problema è che i pensionati greci sono poveri. Dopo le riforme del 2010 e del 2012 che hanno tagliato bonus come le tredicesime e gli assegni anche del 40%, la pensione media è di 700 euro con un 45% di pensionati che vive sotto la soglia di povertà, incassando 600 euro al mese.Il problema dei pensionati greci è che sono, banalmente, troppi. Gli ultra 65enni sono un quinto della popolazione greca. Con un’aspettativa di vita di 80 anni. Le pensioni incidono oggi il 13.5% del PIL greco. Col vecchio sistema pensionistico nel 2050 le proiezioni mostravano una spesa pensionistica pari al 25% del PIL.Le prime riforme hanno insistito più sul taglio degli assegni pensionistici che su un’effettiva applicazione dell’aumento dell’età pensionabile.Il risultato di queste riforme è stato rivelato a dicembre scorso dal governo Samaras al Parlamento greco: tre quarti dei greci riesce ancora a lasciare il lavoro grazie alle “scappatoie legali” prima dei 61 anni. Il ministro del Lavoro, Yiannis Vroutsis, rivelò che nel settore pubblico, il 7.91% si ritira tra 26 e 50 anni, un altro 23.64% tra 51 e 55, e il 43.53% tra 56 e 61. L’Ika (per semplificare l’INPS greca) nasconde dati altrettanto preoccupanti, il 4.44% dei pensionati del settore privato si ritira dal lavoro tra 26 e 50 anni, il 12.83% prima dei 55, e il 58.61% tra 56 e 61. Il vero punto nodale della crisi greca è l’assoluta assenza di lealtà tra le parti. E questo vale in senso bilaterale. I greci hanno sempre fatto riforme di superficie, aggirandole poi anche scopertamente. L’Unione Europea ha alzato il livello dello scontro imponendo misure che hanno anche un senso, economicamente parlando, ma che tengono conto dei soli numeri. L’economia, se non viene stemperata dalla sociologia, è una scienza inutile, un esercizio di stile. Anche interessante (per gli appassionati) ma privo di applicabilità. La Repubblica di Platone ha un suo senso, finchè la si studia come un esercizio di stile. Ma se la applichi ti ritrovi a marciare al passo dell’oca sotto la porta di Brandeburgo. Non si può mandare all’inferno 11 milioni di persone, solo perchè governati da un gruppo di intellettuali supponenti e molto approssimativi. Pure, non si può concedere a 11 milioni di persone di fare quel cazzo che gli pare mentre altri sono assoggettati ad una serie di regole. Perchè anche quella, se ci guardate bene è equità. Il problema non è un punto d’IVA, lo sa Tsipras, lo sa Schauble, e pure la Merkel. Il punto è capire se la Grecia è parte o no dell’Unione europea. Se lo è (e lo è) va accompagnata in un percorso di riforme serie, condivisibili, ed applicabili. Stanziato che quelle riforme sono applicabili, vanno applicate, senza sconti. Non si può affamare una nazione, e neppure umiliarla. Questo ce lo ha insegnato la storia. Ma non si può neppure farsi dominare, sempre, dalle emozioni, che il Romanticismo, quello sì, ci ha rovinati, noi italiani. Perchè, per fare esempi pratici, se permetto a un greco di andare in pensioni prima dei 61 anni, nonostante lo stato dell’IKA, poi non posso lamentarmi se l’esodato che se l’è presa in quel posto con la Fornero vota Grillo o Salvini. Non è becero. E’ incazzato. Anche abbastanza legittimamente. Perchè posso (e devo) commuovermi per i pensionati greci, ma non posso dimenticare che un pensionato su due in Italia prende meno di 1000 euro al mese (con un costo della vita ben superiore a quello greco), e il 14% ha un assegno di 500 Euro. Perché se no, anche qui, non posso continuamente discutere se siano beceri, razzisti, o se ce l’hanno con l’immigrato. Perchè sono incazzati. Legittimamente. Il resto, è rba da talk show, da anime belle e da ecumenisti. E questo vale in Italia, ma anche in Spagna e in UK e in Francia. Ma siete davvero convinti che Podemos, piuttosto che Farage, o la Le Pen siano solo il prodotto di un fascismo strisciante, brutto, sporco e cattivo? Sono ANCHE quello. Ma sono soprattutto l’espressione di un diffuo senso di ingiustizia che sta percorrendo tutta l’Europa. E ricondurre il discorso al solo disagio greco, nasconde il senso, amplissimo, di questa deriva.