Per scherzo dico spesso che l’unico modo per ammortizzare i costi di un’uscita al ristorante è quello di spazzolarsi tutto e non lasciare nulla nel piatto, è un mio cavallo di battaglia per rompere il ghiaccio alle cene con sconosciuti. Succede che qualcuno non coglie il sottile nonsense della battuta ma nella maggior parte dei casi tutti pensano che sagoma questo plus1gmt. Si tratta comunque di un approccio molto microeconomico che non va affatto bene nei locali eat-all-you-can in quanto è impossibile quantificare il reale corrispettivo in cibo del prezzo forfettario, voglio dire non puoi imbibinarti con tutto quello che c’è sul buffet fino a star male.
Stesso discorso per la comune pratica dell’apericena, un neologismo di cui avremmo fatto tranquillamente a meno. C’è un bar che si chiama come uno dei più importanti registi italiani di sempre dove vai e paghi quattordici euro e scegli l’aperitivo che preferisci e poi ti allenti la cintura dei pantaloni perché puoi riempire i piattini fino a scoppiare. Io non ci sono mai stato ma l’ho sentito raccontare proprio così e, sapete, laddove uno percepisce esperienze altrui che possano essere degne di divulgazione perché non scriverle nero su bianco. Quattordici euro e alla fine esci che hai già cenato perché mangi qualsiasi cosa, anche i risotti ci sono oltre agli altri avanzi dei ristoranti della zona che anziché gettare il superfluo lo rivendono ai bar insieme agli scarti salvati dai piatti a fine serata. Dicevano anche che il problema è se poi finisci quello che hai preso da bere e ti viene di nuovo sete. Sapete quanto hanno chiesto a un amico di quello che consigliava il locale che si chiama come un regista italiano famosissimo per una bottiglietta d’acqua naturale da mezzo litro? Cinque euro. A quel punto ha detto che si sarebbe piuttosto bevuto una birra. Va bene, vuoi la birra? Dieci euro, con i palmi delle mani spalancati e rivolti verso di me, cinque dita aperte sulla destra e altrettante sulla sinistra. Meglio tenersi la sete, a quel punto no?
È che viene da darsi le dritte e farsi le confidenze, solo così ci sembra davvero di avere una vita in back-end, come si dice tra informatici, anche se non la si ha e quando siamo con il front-end attivo, cioè c’è qualcuno che ci sta consultando, dobbiamo far vedere qualche risultato. Ci sono quelli che ti danno addirittura particolari piccanti sulla loro vita privata che tu non glieli hai nemmeno chiesti, ma si dice che sia una caratteristica tutta maschile quella di millantare le prodezze sessuali. Non so, saranno le mie frequentazioni ma devo proprio risalire alla notte dei tempi per ricordare qualcuno che raccontasse a vanvera di essere stato in intimità con questa o quella, e a dirla tutta trattandosi di maschi alfa quattordicenni o giù di lì è facile che si trattasse di racconti letti su giornalini zozzi e fatti propri per apparire scafati agli altri. Ripensare a tutte le idiozie altrui a cui abbiamo dato credito nella nostra vita ti dà il senso del tempo perso nella vita sociale, per un totale di giorni settimane o mesi che nessuno ti ridà più indietro e pensi che cavolo, se anziché uscire con gli amici fossi andato al cinema oggi sarebbe tutto diverso. Saremmo tutti enciclopedie Mereghetti.
Ma non è del tutto vero. Qualcuno più grandicello che vuole condividere con te la sua ars amandi lo trovi, e si tratta per lo più di svitati. C’era un cameriere del bar dell’università che, malgrado la confidenza che si possa avere con uno che ti impiastra la superficie del cappuccio con disegni che vede solo lui, a tutti costi ha voluto raccontarmi della vicina di casa quarantenne – ai tempi non si chiamavano ancora MILF, il porno su Internet non era ancora stato inventato e ci si divertiva da soli ancora con il cartaceo e tutto quello che può comportare quel tipo di divertimento con materiale cartaceo, non so se mi spiego, soprattutto scambiandolo con terzi, anche questo è una sorta di digital divide ante-litteram – che lo invitava a casa sua quando il marito era in negozio. Io seguivo la dovizia di particolari con accondiscendenza perché non volevo deluderlo, lui ci teneva così tanto e io, come sapete, considero il sacrificio alla felicità altrui un po’ come una mia missione. Sono un ottimo ascoltatore, non dimenticatelo mai.
Chiudo questo siparietto a luci rosse con il signor Antonio, anziano compagno di degenza in ospedale in occasione di un intervento a cui mi sottoposi a vent’anni e rotti. Il signor Antonio era di Varazze e mentre sfumacchiavamo nell’apposita sala del reparto di chirurgia, ai tempi si poteva ancora fumare ovunque, alla prima occasione mi mise al corrente di alcuni episodi della sua giovinezza, quando un facoltoso commerciante suo concittadino lo pagava per aver rapporti intimi con mestieranti – quindi aggiungete anche il costo della controparte se volete farvi due calcoli sul budget dedicato all’entertainment di questo tizio – ma si limitava a osservare la scena e, come diceva il signor Antonio, a far da sé. Questo per dire che in realtà il commerciante voyeur non ammortizzava come fanno i giovani d’oggi che frequentano gli apericena di grido, cioè pur pagando due comparse in realtà lui si comportava come se fosse al cinema, dove di certo avrebbe risparmiato. Ma, come ci insegnano i tempi in cui viviamo, c’è chi per la lussuria non bada a spese. Il signor Antonio poi è stato operato prima di me, e la sera precedente all’intervento mi ha dato qualche gettone telefonico e mi ha chiesto di chiamare, non appena fosse uscito dalla sala operatoria, un suo conoscente. Il signor Antonio non era sposato, non aveva figli, non aveva nessun parente stretto, probabilmente il commerciante suo fornitore era già morto e lui, il signor Antonio, aveva soltanto un conoscente a cui telefonare per fargli sapere che l’operazione era andata bene.