Entrare in contatto con gli Edaq e il loro album d’esordio,
Dalla parte del cervo, significa anche apprendere cose nuove, o insabbiate/rimosse, e a volte basta poco per riportarle al giusto livello di attenzione. E’ luogo comune - e assoluta verità - che la musica sia cultura, ma è altrettanto vero che sia possibile stilare graduatorie di merito, sottolineando le composizioni che di quella cultura emanano profumo intenso. Questo album strumentale è sicuramente da inserire nella “categoria nobile”, e questo direi a prescindere dal gradimento. Disco d’esordio per i piemontesi Edaq, che realizzano oltre un’ora di trame strumentali suddivise su dodici tracce. E ritorno alla frase iniziale per accennare ai concetti di “bal-folk e Folk-Art”, sviscerati nello scambio di battute a seguire, due termini che appaiono come neologismi, ma che contengono in realtà la nostra tradizione, le nostre radici, la nostra necessità di libertà espressiva. La sintesi della filosofia musicale proposta è il recupero della tradizione popolare, a cui è aggiunta l’esperienza/conoscenza personale - differente per ogni componente - arrivando così a miscelare qualcosa di molto bene conosciuto - tramandato, assaporato, respirato da sempre - alla sperimentazione, alla tecnologia, al lavoro di ricerca intensa, con il tentativo di dare un volto diverso alla nostra storia che, pur mantenendo la centralità della realtà, può essere raccontata nelle modalità più varie. Fa anche un po’ soffrire la musica degli Edaq, riportando-mi a quelle feste di paese che non sono solo gioia, né oggi né in passato, in quel Piemonte che anche con il vestito migliore, quello della domenica danzante e popolare, mi-provoca una velata tristezza fatta di ricordi, di giovinezza e di appuntamenti mancati per un soffio. Balli occitani, paesi e nazioni a stretto contatto, epoche lontane che si intersecano, il pop e il folk toccati dal jazz, la modernità e il mondo antico, un contenitore di enormi dimensioni dove le variabili che determinano la velocità, lo spazio ed il tempo, perdono il significato fisico conosciuto. Tutto questo emerge nel video di fine post, e nel momento dello start, anche per chi non avesse afferrato qualche mio ermetico pensiero, tutto si chiarirà e le parole non saranno poi così necessarie.Il balfolk è un evento musicale in cui si danzano balli popolari. Si è diffuso a in molte parti d’Europa fin dagli anni 70/80. Spesso le tradizioni musicali e coreutiche di riferimento sono molto antiche, di origine sette/ottocentesca se non addirittura precedenti. Grazie al recupero che ne è stato fatto nei decenni passati ad opera di importanti ricercatori e musicologi, e grazie anche al permanere tutt’oggi di comunità che non hanno mai interrotto il legame con la tradizione, queste musiche sono ancora straordinariamente attuali e vitali. Decine di associazioni e festival dedicano grandi energie alla pratica ed alla diffusione di queste danze, svolgendo così un importantissimo ruolo di diffusione. Per Folk Art intendiamo un nostro approccio, quasi artigianale se vogliamo, in cui cerchiamo di curare al meglio non solo la nostra musica, ma anche le immagini che la accompagnano, la creazione di ambienti sonori, la realizzazione di video, cercando di fare tutto con le nostre mani.
Ascoltandovi la prima cosa che mi è venuta in mente nel tentativo di sintetizzare il giudizio è un’immagine, quella della libertà espressiva applica alla tradizione, alle nostre radici più profonde. Voi che tipo di picture regalereste a chi ancora non vi conosce? Siamo d’accordo con la tua sintesi. Noi ci vogliamo esprimere a modo nostro, stiamo cercando un nostro suono, non ci poniamo limiti nello sperimentare soluzioni diverse. L’unico parametro che non discutiamo è quello del rispetto della tradizione popolare. Forse sarebbe più corretto parlare di interazione con il materiale tradizionale tramite l’utilizzo di linguaggi contemporanei. Non essendo direttamente eredi della tradizione pura l’unica strada percorribile ci è sembrata quella di provare a coniugare l’antico, privato dai dogmi e dalle consuetudini legate alle reinterpretazioni, con un linguaggio aderente alla contemporaneità.
Quanto spazio date alla sperimentazione e all’innovazione tecnologica? Come ho già espresso prima diamo molto spazio ad altri linguaggi che ci permettano di esprimerci al meglio. In primo luogo l’improvvisazione sia in fase di studio che live, molte idee ed arrangiamenti nascono proprio da questa pratica; poi l’utilizzo dell’elettronica, con le dovute cautele, per non andare a snaturare il senso della nostra estetica. L’introduzione di formule ritmiche e melodiche ripetitive ai confini con la trance… insomma cerchiamo in più direzioni e in questa ricerca il bagaglio eterogeneo di ciascuno di noi ha un’importanza fondamentale.
Meglio la fase live o quella in studio? Ma, non saprei, sono due fasi distinte, ognuna con i suoi pregi e i suoi difetti. Per quanto riguarda questo nostro primo cd lo riproduciamo quasi per intero dal vivo; ovviamente live assume una forza ed un carattere diverso dallo studio, e troviamo spazi anche molto lunghi dedicati all’improvvisazione. Quanto incide il luogo in cui siete nati nella vostra proposta? Sicuramente molto, ma credo valga per chiunque si occupi di musica popolare. I suoni che senti fin dall’infanzia, la lingua, gli odori, la luce dei luoghi… sono un imprinting che ti resta e ti accompagna per la vita e ti fa innamorare delle tradizioni che appartengono a quel luogo. Esiste concettualità nel vostro disco? Francamente non credo, il disco è stato realizzato davvero in fretta e l’unico parametro che abbiamo seguito è stato quello che ci ha portato a comporre un album che ci soddisfacesse, che rispondesse alle aspettative e ai gusti di tutti i componenti del gruppo. Abbiamo scelto i brani e fatto gli arrangiamenti soprattutto in fase di prove, e abbiamo lasciato libero spazio alla creatività, non solo riguardo alla musica, ma curando nel dettaglio anche l’aspetto grafico, il cui merito va tutto a Francesco Busso Non c’è bisogno di trovare giustificazioni alle miscele fatte di buona musica, ma… da dove nasce la vostra voglia di Bill Evans? Ma guarda, non siamo partiti pensando: ”… adesso reinterpretiamo un brano di Bill Evans”. Come dicevo prima i nostri ascolti sono tantissimi e se troviamo qualcosa che si possa adattare alle nostre esigenze proviamo a lavorarci e a vedere cosa ne viene fuori. Interplay, per la sua struttura ritmica, si adatta bene ad essere reso in forma di “Rondeu” (una danza tradizionale guascone che si balla tuttora nei bal folk e nelle feste occitane), e quindi dopo averla elaborata con una lunga introduzione ci siamo permessi di reinterpretarla come fosse un rondeu. Che cosa avete pianificato per l’immediato futuro? Stiamo elaborando nuovo materiale spingendo ancor di più nella direzione intrapresa con “Dalla parte del cervo”, magari pensando ad un nuovo album. Nel frattempo abbiamo appena pubblicato il nostro primo video ufficiale che è il frutto della collaborazione con diversi amici che ci hanno aiutati a realizzarlo, fra tutti Flavio Nani, Francesco Busso, Jacopo Valsania, Gabiella Lovera, Vittorio Mortarotti, Luisa Pellegrino, Alessandro Viale.
LINE UP
Francesco Busso (ghironda), Gabriele Ferrero (violino), Flavio Giacchero (cornamusa, clarinetto basso), Enrico Negro (chitarre), Stefano Risso (contrabbasso) e Adriano De Micco (percussioni).
INFO http://www.myspace.com/edaq http://www.edaq.it email: info@edaq.it