Ero indecisa se affrontare questo argomento sul blog, perché mi sembrava troppo di nicchia, poi ho pensato che se a qualcuno non interessa può semplicemente non leggere, mentre altri potrebbero trovarci qualche spunto.
L’altro giorno sono venuta a conoscenza dell’esistenza di quello che potremmo chiamare un movimento d’opinione, la cui portata non so quantificare, che si schiera contro la cosiddetta ‘editoria a pagamento’. Secondo queste persone, tra cui ci sono anche figure di un certo peso come Sandrone Dazieri [quello che poi caldeggia e promuove Licia Troisi o questa cosa], e che arrivano a usare epiteti piuttosto pesanti e intraprendere serie azioni di boicottaggio contro chi pubblica le proprie opere pagando, epiteti e azioni che potrete trovare voi stessi sulla rete se l’argomento vi interessa, l’editoria a pagamento è sbagliata sostanzialmente perchè: non filtra la qualità, anzi pubblica un mare di schifezze che occupano spazio e disorientano il lettore, squalifica il lavoro di chi ha scritto, anche agli occhi di future case editrici ‘vere’, e abbassa la qualità generale dell’offerta letteraria. Inoltre, è ingiusto far pagare l’autore perché la casa editrice deve assumersi i ‘rischi d’impresa’.
Io ovviamente mi sento chiamata in causa, e voglio dire la mia. Innanzitutto, vorrei capire cosa si intende per editoria a pagamento. Una volta ho presentato la mia prima raccolta di poesie a un piccolo editore, che ha accettato di pubblicarla a patto che io partecipassi alle spese di stampa, mi impegnassi a vendere un certo numero di copie, e dessi a questa casa editrice l’esclusiva su tutto ciò che avrei scritto per un certo numero di anni futuri. Una proposta inaccettabile – anche se l’editore in questione si giustificava sostanzialmente così: ‘abbiamo creduto in [un poeta che poi è diventato molto famoso], ora lui pubblica e vende con una grossa casa editrice, noi ci siamo assunti i rischi e non abbiamo avuto nessun ritorno.’ Posso capire il desiderio di tutelarsi, ma a me la proposta di quest’editore sembrava svantaggiosissima, e ho rifiutato.
Quando ho poi scritto un romanzo e dovevo decidere che farne, un amico mi ha suggerito l’idea dell’autoproduzione, che in questo caso ha significato cercare una casa editrice ‘on-demand’, mandare la mia opera, pagare e vederla stampata (e recapitata a casa mia oltre che disponibile in vendita online). E’ importante notare che la casa editrice ‘on-demand’, oltre ad occuparsi di impaginazione e stampa, ha svolto un lavoro lungo e secondo me molto buono di correzione bozze e che, anche se nella versione finale qualche piccola svista è rimasta, molte di più sono state trovate e corrette. In caso di un’eventuale ristampa, correggerò questi pochi errori rimasti, e il testo del mio libro avrà la stessa qualità se non una qualità migliore, da questo punto di vista, di tanti altri testi pubblicati da case editrici non ‘a pagamento’. Quindi non è vero che queste case editrici, o per lo meno non questa che è l’unica di cui ho esperienza, pubblicano senza neanche leggere – sicuramente non rifiutano libri basandosi sulla qualità, ma non è il loro compito: il loro compito è fornire un servizio a chi lo richiede. Per l’editing, che è appunto un servizio e va retribuito, ho pagato io anziché la casa editrice, ma bisogna ricordare, e questo è un punto fondamentale, che io avrò anche i guadagni delle vendite. Per quanto riguarda i libri che ho acquistato, rivendendoli mi sono tenuta la differenza tra il prezzo di copertina e il prezzo che io ho pagato per la stampa; per quelli venduti online prendo il 10%, che è una percentuale superiore a quella che prenderebbe un qualsiasi esordiente. E’ vero, la casa editrice a cui mi sono affidata non fa né promozione, né distribuzione se non su ordinazione – ma non ha mai detto che l’avrebbe fatto. Ben lungi da essere una fregatura, come sostengono molti, mi sembra un patto onesto – e ritenendo io i diritti sulla mia opera, posso recedere dall’accordo in qualsiasi momento.
E veniamo ora al punto fondamentale, quello della qualità letteraria e del ruolo delle case editrici. Forse si potrebbe credere che veramente le case editrici servano da garanti di qualità, ma visto a che punto siamo arrivati, si tratterebbe solo di un atto di fede. In un paese in cui le grosse case editrici spingono Moccia o Fabio Volo, e innumerevoli altre porcherie o mediocrità, perché qualcuno dovrebbe ancora credere che scelgano in base alla qualità e non solo per far soldi e vendere alla gente quello che le piace? Sicuramente, nell’immenso mare di case editrici piccole, medie e grandi, ce ne sono alcune che svolgono veramente un buon lavoro, ma io semplicemente non ho tempo di filtrarle tutte (sono troppe), sceglierne alcune, e passare anni che potrei passare a scrivere a bussare alle loro porte, per poi vedermi magari proporre un accordo come quello di cui sopra, limitante e svilente.
Perché, poi, dobbiamo lasciare a un’élite tutto sommato ristretta e autoreferenziale il monopolio di una delle cose più importanti in assoluto della nostra società, cioè quello che leggiamo? Non sono dentro all’ambiente, ma neanche del tutto fuori, perché mi ci sono affacciata e perché conosco bene persone che ci lavorano. So che gli esordienti solitamente non vengono letti, se non ‘conoscono qualcuno’ (lo so per esperienza diretta), ma vengono cestinati – e ho sentito anche di un racconto proposto, scartato, e poi stranamente ricomparso nella raccolta di una celebrità improvvisatasi scrittrice (non dò altri dettagli perché questa storia mi è stata solo raccontata, non ho motivo di dubitare della sua verità, ma prendetela più come esempio che come fatto). Si pubblica chi è nell’ambiente, chi ha fatto certe scuole, chi bazzica, chi conosce, e poi questi fortunati vengono spinti per bene, pubblicizzati e magari mandati in televisione: lo so per certo come sapeva Pasolini, se mi si concede di scomodarlo, non tanto perché ho le prove quanto perché sto attenta e colgo indizi e movimenti, e il mondo editoriale è così, mi fa abbastanza schifo, non merita il potere che ha, e io non vorrei affidargli le mie opere se posso fare altrimenti; purtroppo, e qui entro in contraddizione come mio solito, mi fido poco anche dei gusti del pubblico. Il pubblico, cioè la grande massa di lettori italiani, legge molto cose che io considero molto brutte; eppure, dovendo scegliere tra case editrici e lettori, preferisco lasciare il mio giudizio a questi ultimi.
Mi rimproverano tutti perché non promuovo abbastanza i miei libri, affidandomi a quel meccanismo imprevedibile, arbitrario e solitamente lento che è il passaparola. Però io penso: se il mio libro vale, non è certo ma è più che possibile che prima o poi verrà fuori, in virtù soltanto della sua stessa qualità. Ho una base iniziale, quelle circa duecento persone che hanno letto il mio primo romanzo perché mi conoscono, perché mi hanno incontrata e sono rimasti incuriositi, perchè qualcuno che mi conosce gliel’ha consigliato, o perché seguono il mio blog. Partendo da questa base, e forse da quei pochi che hanno visto i miei libri per caso (nonostante i giornali non ne parlino e le librerie li lascino nascosti, persino quelle in cui ho venduto parecchie copie, fine della nota polemica), con una promozione iniziale necessaria ma minima, sono curiosa di vedere se mi leggeranno più persone, oppure il meccanismo si fermerà. Mi sembra comunque di fare affidamento su dinamiche non del tutto giuste e meritocratiche, ma sicuramente oneste e migliori di quelle a cui si ricorre di solito.
Siamo nel 2011, internet è una forza, non sempre ma spesso, democratizzante, anche nella cultura: lascia in mano ai singoli la possibilità di far emergere o stroncare un’opera, di farsi conoscere con pochi mezzi e facendo affidamento sulla qualità e non sulla visibilità, toglie dalle mani dei grandi gruppi, che siano editoriali, mediatici, imprenditoriali, politici o tutte le cose assieme, il monopolio di quello che leggiamo o sappiamo: perché non approfittarne anche nell’editoria? Certo, certi ‘poteri forti’ rimarranno prevalenti, ma la crociata contro chi vuole fare da sè e affida agli altri (al mercato, in pratica) il giudizio su quello che scrive mi sembra del tutto una perdita di tempo e di energie, inutile o controproducente, e anche un po’ cattiva – peggio ancora, quando è calata da gente che si fa promotrice di schifezze o il cui lavoro non è certo perfetto – a certi mi viene da dire: ma tu ti sei letto? ma da che pulpito…?
Ormai in quasi nessun campo la marca è più garanzia di qualità, se non poche eccezioni, e nemmeno nell’editoria; l’artigianato sta invece prendendo di nuovo piede perchè ristabilisce il contatto umano e premia la creatività del singolo. Io penso che l’autoproduzione letteraria sia una forma di artigianato, penso che i vecchi filtri non funzionino più, e le vecchie garanzie di qualità e di verità non siano più credibili: tentare qualcosa di nuovo mi sembra non una vergogna, ma un esperimento interessante.
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