Editoria cartacea: lo scandalo mafioso della presentazione del libro. E su Elena Ferrante, l’autrice che non ha mai rivelato la sua identità.

Creato il 22 settembre 2012 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

di Rina Brundu. Ho sempre odiato le presentazioni dei libri: istintivamente e per motivi multipli. Come anima che vedeva nella scrittura una possibilità per raccontarsi, avvertivo che le stesse risultavano ridondanti. Diventavano una sorta di ipertesto frivolo e teso ad allontanare il “discorso” dal punto “importante” che l’autore aveva inteso fare. Detto altrimenti, ho sempre pensato che se uno scrittore non riesce ad esaurire il suo ragionamento dentro il testo, ha fallito e a nulla servono le argomentazioni pro e contro che i terzi riusciranno ad intavolare con lui/lei e/o per lui/lei. La scrittura, infatti, è discorso privato tra l’anima che la produce e le qualità estetiche (in senso lato) del testo che si oggettivano nero su bianco, le quali, per ovvie ragioni, non potranno mai sfiorare la perfezione del progetto originale. Quello solamente “pensato” per intenderci.

Nel tempo, e dopo avere partecipato (ahimé!) a diverse presentazioni, più o meno curate, il mio astio verso quelle è cresciuto in maniera esponenziale. Mi indispettivano gli ospiti incravattati ma assolutamente incapaci di affrontare le argomentazioni trattate nel lavoro oggetto della presentazione, spesso chiamati colà solamente in virtù del loro ruolo pubblico, quasi che l’autorità che rappresentavano potesse trasferirsi per osmosi sul testo considerato. Mi indispettivano i discorsi farlocchi, privati di qualsiasi elemento tecnico che denunciasse una qualche conoscenza dei fondamentali della critica testuale. Mi indispettava lo spirito inderogabilmente acritico, in virtù del quale se la pubblicazione in discussione non presentava un solo quid laudabile si optava astutamente per un veloce linking dialettico con i benefici che porta all’anima e ar-core l’impegno sentito contro la fame nel mondo. O contro le carestie. O contro le guerre, che le missioni di civiltà consigliabili fortunatamente (o sfortunatamente) non mancano mai in questo terra di dolore.

Prendendomi il tempo, e studiando con attenzione le dinamiche che innescavano quelle atipiche riunioni-di-condominio di fantozziana memoria, l’astio è infine diventato disgusto. Disgusto per l’industria pseudo-culturale, portata avanti con fondi editoriali pubblici, anche questi sommamente responsabili per lo sfascio finanziario ed economico corrente, a cui è senz’altro imputabile lo scadimento verso il basso del gusto letterario dei tempi. Disgusto per la celebrazione stile culto-del-leader di staliniana memoria, di autori mediocri, assolutamente incapaci di raccontare nulla di nuovo e dunque di insegnare. Disgusto per la mentalità mafiosa (toccata con mano, caso mai qualcuno avesse dei dubbi!), che tra una presentazione e l’altra (spesso festeggiata a suon di grandiosi buffet!), penetrava nelle cose di tematiche idealmente esistenti per dare sfogo alle necessità dello spirito e non a quelle del portafoglio.

Dunque l’autore dovrebbe sparire completamente dentro e dietro il testo? È questa la mia idea? No, non è proprio così. Per lo più credo che dipenda dalla sensibilità e dal percorso che quello stesso autore vuole intraprendere. Concordo per tanti aspetti con quanto sostiene Elena Ferrante l’autrice che non ha mai svelato la sua identità “”Contano i libri e non gli autori ecco perchè io rimango nell’ombra”.  Del resto la sua posizione non è nuova e la storia della letteratura mondiale racconta di numerosi autori che hanno scelto una ribalta di basso profilo: la cosa è logica, sensata, assennata considerando il mestiere in questione. Tuttavia un lungo meditare sulla faccenda mi ha portato a muovere da quelle posizioni radicali, questo perché ritengo che un autore, soprattutto uno che vorrebbe incidere in una società post-digitale difficile a viversi come è quella che testimoniamo, abbia il dovere di “metterci la faccia” dietro il suo scritto. Debba avere il coraggio delle sue idee e delle sue critiche al Sistema. O ai Sistemi. Il discorso naturalmente vale soprattutto per gli autori “impegnati” sul versante sociale ma non solo ed è teso a dimostrare che tra lo scrittore-velina e lo scrittore-fantasma c’è un oceano di possibilità molto serie e molto costruttive da riempire. C’è finanche la stessa “distanza ideale” che esisteva non troppo tempo fa tra una Emily Dickinson che aveva scelto le pareti della sua casa come orizzonte virtuale capace di esaltare le possibilità dell’io-che scriveva e un Oscar Wilde le cui vicende di vita non facevano mistero di mirare ad un’equazione con il target artistico dell’anima.

Di buono vi è che se i tempi cambiano spesso cambiano in meglio. Da questo punto di vista l’avvento dell’editoria digitale con le sue necessità economiche minime sarà, a mio avviso, un dono importante per gli autori del futuro. Darà infatti a questi ultimi, in mille modi e maniere, la possibilità di mostrare la brillantezza del loro spirito, la sua innata capacità, la bravura nel ragionamento di fondo, il suo imprint filosofico senza vederlo variato, trasformato, alterato, mutato quando non mutilato dal “gusto” dell’editore di turno. E dal suo interesse di portafoglio. Ad majora, insomma!

Post Scriptum: A proposito dei “mille modi e maniere” che l’editoria digitale mette già oggidì a disposizione degli autori per presentare i loro testi voglio segnalare in calce a questo articolo il bel lavoro fatto da Marco Casula su You Tube. Ho trovato ammirevole, sobria, educata, informata, lontana da qualsiasi eccesso sensazionalistico la video-presentazione del suo libro “La maschera sotto la neve”. È una video presentazione che racconta il testo dalla prospettiva dell’autore e poi lo consegna direttamente nelle mani del lettore. E non chiede altro. Non le serve altro. Inserisco il link alla stessa tra i commenti.

Featured image, Oscar Wilde intorno al 1894. Fonte Wikipedia.