Educadores em luta

Creato il 24 ottobre 2013 da Coloreto @LoretoCo

Perché il Brasile ha rapidamente attirato l'attenzione dei media internazionali? Sarà perché è stata scelta come nazione ospitante di eventi come la Coppa del Mondo 2014 e le Olimpiadi 2016? Sarà perché, insieme all'Argentina, il Brasile vede come guida una donna, Dilma Roussef, dal forte cipiglio e dalla caratura internazionale atta al ruolo che riveste? Sarà perché, durante l'ultimo scandalo che vede gli USA doversi difendere in merito alla questione Datagate, il Brasile, ha anticipato la Francia, la Germania con dichiarazioni - «È stato un affronto alla sovranità del Brasile e alle regole che governano i rapporti amichevoli tra nazioni, una grave violazione dei diritti umani, un crimine totalmente inaccettabile»  -  che fanno ben pensare ad una presa di posizione forte nei confronti del cugino americano? Dichiarazioni che hanno permesso a tutto il sud america, non considerando esclusivamente gli stati riconosciuti come “anti-imperialisti” tradizionali ma anche e maggiormente l'Argentina della Kirchner che ha già cominciato a nutrire seri dubbi sulla presidenza Obama ( pur nel 2011 avendo questo dichiarato C. F. Kirchner “great friend” degli Stati Uniti al termine di un vertice bilaterale e avendo dato un larghissimo supporto all'Argentina durante l'ultimo referendum circa la questione delle isole Falkland/Malvinas, rifiutando di riconoscere il referendum e il diritto di autodeterminazione della popolazione inglese ) e non ultimo il Messico, di condannare il caso e chiedere risposte e spiegazioni a Washington. Sarà perché di recente, il Brasile, ha assunto una grandissima rilevanza in campo economico per via della vendita all'asta dei diritti di sfruttamento del più importante e grande bacino petrolifero mai scoperto in sud-america?
No. Per quanto le precedenti siano valide motivazioni, oggi, non ci troviamo qui a parlare di questo. Similmente ad altre proteste, Zuccotti Park e Puerta del Sol in primis e tanti altri esempi, circa dodicimila persone si sono ritrovate a marciare pacificamente al centro di Rio de Janeiro e in Sao PauloLe proteste,

cominciate pacificamente, erano state organizzate e pensate per una chiara e ferma protesta nei confronti dei tagli alla Cultura, alla Scuola e alle Università, particolarmente contro l'abbassamento dei livelli salariali degli insegnanti. Fonti della stessa Unione degli Insegnanti parla di cifre molto meno modeste, arrivando a quote come cinquantamila persone. Poco importa la cifra esatta, basta collegarsi ad uno dei canali mediatici che ne parla per rendersi conto dell'enorme partecipazione che ha visto non solo gli insegnanti partecipare. 

Si legge in uno dei cartelli imbracciati “Tropa de Prof”: Squadra degli Insegnanti. Si, perché la gente che è scesa in piazza, per le vie, ad animare città intere, era intenzionata a non indietreggiare di un passo finché non fossero stati ascoltati. Quale la motivazione principale? Quella esposta durante un'intervista di Al Jazeera ad un insegnante impegnato nella protesta: “Il paese ha i soldi per mantenere o per realizzare Olimpiadi e Coppa del Mondo. Dove sono i soldi per l'educazione, la sanità e tutto il resto?”. Dichiarazioni infiammate che sono chiara dimostrazione di una sofferenza protratta da troppo tempo. 
Durante l'ultimo discorso pubblico, la presidente Dilma Roussef ha confermato quanto il popolo mostra: “c'è ancora molto lavoro da fare […] problemi urgenti da risolvere e la popolazione ha il diritto di domande cambiamenti.”. 
Cosa accade? Perché si parla o si dovrebbe parlare del Brasile? Perché una protesta pacifica, nata col semplice scopo di manifestare un grave disagio dell'insegnamento e degli insegnanti, uno sparuto nucleo di poche migliaia di persone, è arrivato ad infiammare gli animi di chi ha avvertito la necessità di una protesta ben più larga. Medici, infermieri, operai, gente comune, chiunque ha deciso di imbracciare la protesta e di scendere in piazza avvertendo la necessità di armare le proprie voci e farle risuonare. Gli edifici governativi sono stati letteralmente assediati. Lentamente, una protesta pacifica ha cominciato ad assumere connotati rivoltosi fortemente violenti. La rivolta non è concentrata in una sola giornata, procede da settimane. Corrispondenti da ogni parte del mondo, BBC capolista, confermano quanto è evidente dalle immagini e dai video che riescono ad arrivarci: ci sono già state proteste anti-governative particolarmente dense di rabbia che nasce dal popolo ma non si era ancora vista qualcosa di tale portata.
“Loro non hanno mai parlato con noi. Sono venuti in gran numero e hanno cominciato a lanciare fumogeni contro di noi”, sono le parole di una delle studentesse intervistate dalla BBC durante questi giorni di proteste rivoltose. “non avrei mai pensato che sarebbe accaduto questo. Mio dio! In una così bella nazione.” sono altre parole consegnate da un 63enne che si è ritrovato coinvolto in una protesta che non pensava potesse finire in lanci di fumogeni. 
La protesta è diventata violenta. Al crescere della partecipazione, la situazione è degenerata fino alla partecipazione in gran numero di forze di polizia che, piuttosto che contenere, hanno provato a sedare la folla producendo ulteriori disordini e portando 50 arresti in poche ore, la chiusura delle principali strade per parecchie ore al giorno e la contaminazione di altre proteste sorte pacificamente, come quella di Sao Paulo, Fortaleza e Curitiba, ma che sono state rapidamente coinvolte in una spirale di violenza inaudita. 
Si percepisce come una semplice protesta, portata avanti e creata dall'Unione degli Insegnanti, sia diventato un contenitore capace di incarnare anche le anime di chi, cominciando in giugno con la “Brazilian Spring”, si aspettava cambiamenti radicali.
“Io sono un supporter della protesta unificata. Noi tutti dobbiamo unirci per debellare la corruzione. Noi, non abbiamo politici, noi abbiamo ladri, malfattori e delinquenti”, queste sono le parole riportate di un medico intervistato da Al Jazeera. 
Ecco, perché, oggi, parlare del Brasile. Perché stanno riuscendo a fare qualcosa che ancora, almeno da noi in Italia, non si comprende: noi tutti dobbiamo unirci per debellare la corruzione.

Filippo M. R. Tusa

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