Nel bene perchè non è facile trarre una storia con una trama principale che la conduca da un libro episodico, aneddotico, tenuto insieme soprattutto dal fatto che il narratore è anche il protagonista. Nel suo romanzo, infatti, Nicolai Lilin racconta del suo percorso all’interno della comunità dei Siberiani, un clan di criminali onesti soggetti a delle regole di condotta rigidissime, sacre. Il collante degli stralci di vita che Lilin racconta è la sua stessa coscienza, che apprende poco alla volta i comandamenti che deve rispettare dall’autorevole nonno Kuzja (John Malkovich, nel film); ci sono poi personaggi ricorrenti come gli amici, il tatuatore e anch’egli maestro di vita, a suo modo; antagonisti perenni come la polizia e uno dei clan rivali, quello dei georgiani; la figura di Xenja, fragile ragazza ritardata o, per dirla coi Siberiani, voluta da Dio, e per questo motivo da proteggere a ogni costo. C’è infine Gagarin, sincero amico di Kolima: destinato a una vita totalmente diversa dalla sua, è un’occasione proprio per Kolima di scegliere se dare ascolto alla dottrina che ha plasmato la sua vita.
Nel male perchè, a volte, la trasposizione non pare troppo felice. L’aspetto che più degli altri si fa notare è una certa fretta nello spiegare le regole della comunità e nel presentare le situazioni che le rendano chiare, esplicite. Nei minuti iniziali, infatti, sembra di assistere a un elenco frettoloso di eventi più che alla nascita di una narrazione. Ad aggravare le cose ci si mette anche una tendenza a passare le informazioni attraverso i dialoghi dei personaggi, in particolar modo attraverso le massime che nonno Kuzja insegna al piccolo Kolima / Nicolai (Arnas Fedaravicius): un espediente che potrà anche ritenersi necessario, quando ci sia davvero molto da dire, ma che è molto più accettabile in un racconto scritto che in un film. Con il trascorrere dei minuti, però, il ritmo rallenta e l’alternanza di piani temporali – l’infanzia, l’adolescenza e la giovinezza di Kolima a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 – rende giustizia a una storia comunque avvincente, accompagnata da una colonna musicale appropriata e coinvolgente ma talvolta invadente. In qualche frangente, infatti, pare che il commento musicale voglia imporre dei cambi di tono con troppa autorità, rubando la scena ai fatti azichè sottolinearne l’umore. Resta monco il giudizio sugli attori, doppiati ma molto credibili nella loro presenza scenica. Molto curata è invece la ricostruzione degli ambienti (il film è stato girato in Lettonia, ricreando l’ambiente della Russia di quegli anni), che contribuisce a trasmettere un’atmosfera da western atipico.
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