Dovrebbe essere un controsenso, ma anche non rispettare la legge invece può essere fatto seguendo un insieme di regole con cui, chi la infrange, ha il diritto di continuare a considerarsi persona onesta, poiché utilizzatore di quella violenza necessaria a stabilire, artificialmente, un ordine chiamato, nel linguaggio più comune, giustizia.
Diciamo che quella concepita da “Educazione Siberiana” però non è più una tematica che lascia di sasso oggigiorno, molti sono gli esempi pubblicati ormai - non solo al cinema ma anche in televisione - in cui il cattivo di turno agisce secondo un codice prestabilito, dove l'intento è quello di causare un bene destinato ad andare oltre il proprio bisogno personale, serie televisive come "Dexter", tra l’altro, hanno trovato proprio in questo fortuna e grande riscontro di pubblico. Per cui, sotto questo aspetto, la pellicola diretta da Gabriele Salvatores non brillava certo di originalità o progresso - anche se qui a seguire un codice non è una persona sola, bensì una comunità - che, del resto, mancavano anche in ciò che apparteneva alla trama principale: cucita sulla grande amicizia di due amici destinata a trasformarsi nell'esatto contrario durante i dieci anni in cui il racconto si snoda (1985-1995), alterata dai mutamenti della Storia e dalle sopraffazioni imprevedibili della vita.
Tratto dall’omonimo libro scritto dal russo Nicolai Lilin - da cui la pellicola ha deciso di staccarsi leggermente per avere più libertà e aggiungere un tocco distintivo - di “Educazione Siberiana” rimangono quindi i nitidi insegnamenti esclusivi e graditi con cui nonno Malkovich alleva nipote e compagnia, ma soprattutto un'ottima ricostruzione degli usi e i costumi di una collettività sui cui Salvatores ha forgiato, con caparbietà e furbizia, i muri maestri del suo rispettabilissimo lavoro.
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