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Edward G. Robinson: non solo l’inconfondibile gangster del periodo del proibizionismo

Creato il 13 giugno 2013 da Oggialcinemanet @oggialcinema

Edward G. Robinson: non solo l’inconfondibile gangster del periodo del proibizionismo

(12 Dicembre 1893 ,Bucarest – 26 Gennaio 1973 Los Angeles)

Edward G. Robinson la figura tarchiata, la bassa statura, il viso caratterizzato dal taglio mongolo degli occhi hanno reso Emanuel Goldenberg (questo il suo vero nome) uno degli attori più caratteristici nel panorama cinematografico mondiale. Ma naturalmente queste peculiarità non bastano per sfondare nel cinema, ed infatti Robinson ne possedeva altre e fondamentali per emergere: versatilità, carisma, incisività, sensibilità e forte temperamento.

Nato in una famiglia ebrea romena di media borghesia, che nel 1903 per sfuggire alle persecuzioni si era trasferita negli Stati Uniti, rinuncia a diventare rabbino e a studiare legge per iscriversi alla Columbia University, nel 1913 vince una borsa di studio presso  l’American Academy of Dramatic Arts, e inizia a studiare recitazione, cambiando il suo nome.

Partecipa alla Prima guerra mondiale nel 1915 e nello stesso anno prosegue il suo successo in teatro; ma si affermerà maggiormente con il cinema, specialmente con l’avvento del sonoro (Robinson aveva già preso parte ad un film muto del 1923 “The Bright Shawl”.

Nel 1930 interpreta il ruolo che lo renderà celebre e che darà il via ad un serie di gangster movies : “Piccolo Cesare” di LeRoy, film crudo incentrato sulla figura del feroce bandito Cesare Enrico Bandello. Un successo anche perché in quegli anni accanto ai western e ai musical, nel periodo della crisi economica e del proibizionismo comincia a farsi largo il noir criminale (“Nemico pubblico”, “Scarface” saranno altri due grandissimi successi).

Si mostra quasi sempre enfatico e sopra le righe Robinson in questi ruoli soprattutto  oggi, ma per quell’epoca quel tipo di recitazione rappresentava una novità e anche occasione di spunto, tanto che Robert De Niro ha dichiarato di essersi ispirato proprio al protagonista di “Piccolo Cesare” per il ruolo di Al Capone nel film “Gli intoccabili”.

Ma Robinson oltre alla grande popolarità si guadagna anche la fastidiosa etichetta di boss e non riesce ad uscire da quel clichè, anche nei successivi film che gira avrà sempre qualcosa di Rico, per volere dei registi ma soprattutto dei produttori. In  “Smart Money”  sarà un re del gioco d’azzardo, “in Five Star Final”   un arcigno direttore di giornale, in “L’uomo dalla scure”  un signore della guerra cinese, in “La costa dei barbari”  un ex boss del commercio clandestino di alcolici della parodia , in “Il piccolo gigante re dei gangster”,  un uomo alla ricerca della moglie per ucciderla in “L’ultimo gangster”,nemmeno a dirlo, ancora un malavitoso, in “L’uomo di bronzo”  un agente sfruttatore pugilistico e un gangster a due facce del riuscitissimo  “Tutta la città ne parla” di Ford. Personaggi caratterizzati da quel fare sbrigativo e arrogante, dallo sguardo che raggela, dal ghigno compiaciuto, ma Robinson è un uomo raffinato  e colto, amante dell’arte e del teatro che evidentemente è stufo di avere a che fare solo con affaristi corrotti e spietati delinquenti che in quel periodo riempivano le copertine dei giornali americani e animavano purtroppo la cronaca, sebbene il suo fisico si presta alla perfezione per questi ruoli. Vuole dimostrare che anche fuori dai panni di boss e malavitosi e un attore credibile .  E ci riesce benissimo già con il dramma “L’ultimo ricatto”(1939) dove interpreta magistralmente un industriale condannato ingiustamente ai lavori forzati, con il bio-pic “La vita di Giulio Reuter (1940) fondatore dell’agenzia di notizie tra le più grandi del mondo, con “Un uomo contro la morte”(1941) nelle vesti dello scienziato Paul Ehrlich, scopritore di un farmaco contro la sifilide; con il tragico firmato Curtiz  tratto dal romanzo di London“Il lupo dei mari”(1941), quando interpreta un uomo ridotto in miseria in “Destino”(1942) di Duvivier accanto a Rita Hayworth, Charles Boyer, Henry Fonda e Thomas Mitchell e  ancora nel terzo film hollywoodiano di Duvivier “Il carnevale della vita”(1943).  Tuttavia è grazie a registi intuitivi ed intelligenti come Lang , Welles , Wilder  che Edward G. Robinson riesce a liberarsi dai pregiudizi e da quell’immagine cinematografica ormai ben stampata nella mente di tutti: nel capolavoro noir di Wilder “La fiamma del peccato”del 1944 è l’indimenticabile  e determinato investigatore Barton Keyes  che scopre una truffa assicurativa, dello stesso anno è l’altro gioiellino di Fritz Lang “La donna del ritratto” insieme alla sempre bravissima Joan Bennett. Qui il superlativo Robinson interpreta teneramente il ruolo di un distinto professore di criminologia che s’innamora di una donna  di cui ha visto il ritratto in una vetrina, uccide per lei un uomo, cerca di nascondere  delitto, ma sarà vittima di un ricattatore . Ma era soltanto un sogno..

Nel 1946 è protagonista di un film diretto dal grande Orson Welles “Lo straniero” dove si cala nel ruolo di un investigatore governativo che scopre un criminale di guerra nazista per un finale da mozzare il fiato.

Di Nuovo diretto da Lang nel film “La strada scarlatta” (1946) una storia psicologica con sottofondo da incubo nella quale Robinson da uomo mite si trasforma a causa delle circostanze in un assassino.

L’anno successivo prende parte ad un lavoro insolito, uno psicodramma freudiano rivalutato solo negli anni ’90; ma è un periodo d’oro per la carriera dell’attore che reciterà anche per Houston ne “L’isola di corallo” (1948) dove , si, sarà ancora un gangster ma in un’ambientazione esotica con la coppia Bogart- Bacall. Sarà un ex illusionista nel film di Farrow “La notte ha mille occhi” (1948) e un patriarca di origine italiana che controlla i suoi figli in “Amaro destino” (1949) di Mankiewicz.

La fine degli anni Quaranta sancisce anche la fine del suo periodo artistico più alto, il telefono smette di squillare soprattutto per l’accusa di comunismo da cui si difende, insieme ad altri suoi colleghi, davanti al Comitato per le attività antiamericane; prosciolto da ogni accusa ed amareggiato Robinson si dedica al teatro , partecipando però, occasionalmente a qualche pellicola di serie B  a parte, forse, “Pioggia di piombo”. Il riscatto  arriva nel 1956 grazie a De Mille che vuole Robinson per il ruolo del malvagio Dathan, l’ebreo che per avidità tradisce il suo popolo, nel kolossal “I dieci comandamenti”. E’ la sua rivincita professionale e comincia a lavorare in alcuni cameo o per ruoli da spalla prestigiosa, riservati solo alle “vecchie glorie”che danno indicazioni preziose a chi poi , da buon protagonista, deve svolgere l’azione.

Esempi lampanti sono le pellicole: “I sette ladri” , “I quattro di Chicago”, “Colpo grosso alla napoletana”, e “L’incredibile furto di mister Girasole” , tutti degli anni Sessanta. Ma prima di accettare queste “comparsate da saggio” Robinson ha avuto l’onore di lavorare anche con Frank Capra nell’anacronistico “Un uomo da vendere” (1959) dove non possono mancare personaggi ingenui ma attivi e generosi e successivamente anche con Vincente Minnelli nel non riuscito “Due settimane in un ‘altra città”(1962) girato a Roma e che strizza l’occhio a “Viale del tramonto”.

L’anno seguente è lo scienziato Stratman ai danni del quale si sta ordendo un complotto scoperto da uno scrittore americano premio Nobel nell’intricato hitchcockiano “Intrigo a Stoccolma”accanto a Paul Newman; seguono “Sammy va al sud” (1963), il pirandelliano“L’oltraggio” (1963, e rifacimento di “Rashomon”  di Kurosawa), “Cincinnati Kid” (1965) che mette in scena la più avvincente e celebre partita di poker del cinema americano tra un cinico giovanotto e un veterano (Robinson per l’appunto). “Ad ogni costo” film del 1967 porta la firma registica dell’italiano Giuliano  Montaldo dove quattro esperti attuano un colpo grosso ai danni di una società diamantifera. L’ultimo film a cui prende meravigliosamente  parte è del 1973 per la regia di Richard Fleischer : “ 2022: i sopravvissuti” con Joseph Cotten e Charlton Heston, segnato da un certo pessimismo ecologico sul futuro prossimo. E proprio per questo il personaggio interpretato da Robinson decide di morire per sfuggire all’apocalittico futuro, di fronte ad un Heston in lacrime, lacrime vere perché era l’unico a sapere in quel momento che il suo collega stava per spegnersi a causa di un cancro.

Nonostante la sua straordinaria poliedricità e il suo inesauribile talento capace di regalare emozioni fino alla fine, Hollywood non gli ha mai conferito il giusto tributo e la merita considerazione; solo poche settimane dopo la sua morte, l’Academy of Motion Picture Arts and Sciences ripara tardivamente a questa mancanza decide di insignirlo con un Oscar speciale alla memoria, non avendo  mai ricevuto nemmeno una nomination. E la scelta sarebbe stata ardua…

di A. Grasso


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