Non ci stupiamo affatto allora se la sceneggiatura di "Effetti Collaterali", scritta da Scott Z. Burns, sia capitata proprio tra le sue mani, rispettando non solo quella divenuta oggi la sua poetica di regista ma rivelandosi pertinente persino con il vezzo di esplorare ogni volta un genere cinematografico differente dall'ultimo analizzato. Dal dramma muscoli e lustrini di “Magic Mike” segue perciò quello che è senz'altro un solido thriller dalla doppia personalità: la prima impegnata a denunciare - o se preferite a provocare - il sistema medico americano e la seconda convogliata a usufruire dei pregiati risvolti che una trama come questa, assai articolata e tortuosa, è generosa nel concedere.
Ecco quindi come attraverso l’inedita coppia formata da una strepitosa Rooney Mara e il versatile Channing Tatum entriamo spediti nel mondo della depressione comune, scoprendo, oltre ai suoi sintomi, quanto questa malattia si sia diffusa a vista d’occhio particolarmente negli Stati Uniti, tanto da essere diventata un potente business tra i suoi medici curanti. In America chi prende pillole è considerata persona che vuol star bene, da noi è una persona malata. E’ la risposta dello psichiatra Jude Law a chi gli domanda come mai lui, medico inglese, abbia scelto di esercitare la sua professione lontano dal paese natale. Ma "Effetti Collaterali", seppur vero che prenda la causa dell’abuso di psicofarmaci di petto per poi scuoterla ferocemente, è ancor più abile ad evitare di incaponirsi su di essa come unica meta, e quindi - nella sua seconda metà - compie la scelta ponderata e intelligentissima di sfruttare ogni elemento a suo favore per trasformarsi in un thriller medico e legale a tutti gli effetti, allestendo un omicidio a sorpresa che scatena un vortice di colpi di scena, intrighi e risvolti inaspettati ma architettati al millimetro e connessi a risultati discendenti da terapie mediche.
Soderbergh pertanto si ritrova alla guida di uno dei script di genere migliori realizzati negli ultimi anni, un trionfo di contenuti e rovesciamenti di prim'ordine con attimi che addirittura scendono persino nell'horror contemporaneo, scomodando e chiamando in causa - magari esagerando un pochino - quel che era stato il miglior cinema di un certo Alfred Hitchcock.
Impossibile, infine, non sottolineare la presenza scenica magnetica – e assente da parecchio tempo sullo schermo - di una elegante Catherine Zeta-Jones nelle vesti di psichiatra gelida e provocante. Un piacere aggiuntivo per gli occhi, sia degli uomini che delle donne.
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