Allora dissero “Non possiamo seppellirla
nella terra nera” e fecero fare una bara di cristallo, perché‚ la si potesse
vedere da ogni lato, ve la deposero, vi misero sopra il suo nome, a caratteri
d'oro, e scrissero che era figlia di re. Poi esposero la bara sul monte, e uno
di loro vi rimase sempre a guardia.
Biancaneve
nella sua bara di cristallo esposta sulla cima del monte è la bellezza senza
tempo, senza movimento, senza scopo e senza… uso. Talmente perfetta che il Principe
mica voleva svegliarla: gli bastava portarsela a casa per ammirarla in salotto.
Cosa
questo centri con la musica rock ce lo spiega Lester Bangs in un vecchio pezzo su un
disco dei Chicago.
"Ma, anche se adoro così tanto Chicago at Canergie
Hall, non lo ascolto molto spesso. A dire la verità, l’ho ascoltato solo una
volta da quando l’ho comprato e non ho
intenzione di ascoltarlo mai più. D`altra
parte, non serve: è autosufficiente, è un’entità a sé stante, e
ascoltarlo troppo non farebbe che
aggiungere ditate e strisci sulla sua superficie integra."
Effetto
Chicago.
Ci
sono veramente dischi talmente perfetti da bastare a loro stessi? Talmente
potenti da incutere timore? Talmente intoccabili da allontanare anche il nostro
ascolto?
Personalmente
rispondo si.
E’
un paradosso? Assolutamente, ma ciò non di meno è reale.
Il
troppo bello spaventa; anzi, il troppo
spaventa.
Ci
sono album che quasi mi sembrano impossibili da ascoltare tutto d’un fiato: per
dimensioni, per volumi sonori, per quantità di citazioni, riferimenti,
scopiazzature, falsi propositi, rumori bianchi o disperazioni represse.
Andrebbero fruiti in un contesto e in un
tempo ad essi dedicati, in un ambiente preposto, specifico: mica a casa o
mentre corri con l’i-pod in cintura, né in macchina o in treno. E allora
finisce che non si ascoltano: so in partenza che non arriverò alla fine, che
non scoprirò chi è l’assassino, non saprò se l’eroe si salva. Eccoli nella loro bara di cristallo,
bellissimi e intoccabili, in un oblio perenne. End of Silence (Rollins Band),
Live 1 (Fushitsusha), il secondo disco di Tago Mago, Weld (Neil Young), Half
Machine Lip Moves (Chrome); e altri, di cui addirittura dimentico il titolo.
Poi
ci sono i pezzi unici. Quelli di cui
non si trovano eguali, prodotti dall’alchimia instabile di band precarie
dall’esistenza effimera che, tristemente, mai più sono riuscite a replicare il
capolavoro. Allora ascoltarli diventa come violare una reliquia che deve
rimanere avvolta da un velo di mistero, deve essere in grado di spargere ancora
un po’ del suo potere e non può essere consumata e vilipesa da ascolti
insistiti. E’ veramente possibile ascoltare Faust? Io ci sono riuscito
pochissime volte. Eppure mi è rimasto veramente vivo nella memoria. Vivo
dentro, morto fuori.
Sotto
la teca stanno spesso le cacofonie,
quelle vere, spigolose, quelle che fanno realmente paura. Strumenti stuprati e
voci agonizzanti. Un selva da romanticismo a buon mercato che fa sempre grande
impressione ma che, sotto sotto, lascia sempre il dubbio che, chissà…
magari è solo un’enorme facciata senza nulla dietro. Magari è tutta una
fregatura. Il Re è nudo… e guardarlo da un po’ fastidio. Come ascoltare For
Alto di Anthony Braxton, Trout Mask Replica o il Jon Spencer di Extra Width e i
Red Crayola di The Parable of Arable Land, che è uno dei sound più stupefacenti
dell’epoca psichedelica… ma è veramente faticoso da sostenere.
Teche
di cristallo.
Se
ne stanno attorno ai nostri dischi preferiti e a volte nemmeno ce ne
accorgiamo.
Del
resto, anche quella di Biancaneve si ruppe per sbaglio. Un servitore del
Principe inciampò, la fece cadere, la bara si frantumò e la ragazza sputò il
boccone avvelenato che ancora le stava in gola…
Poi
vai a dire il potere del bacio di vero amore…