EFFETTO DOMINO – Rubrica di approfondimento tematico
Periferie
Perciò veniamo bene nelle fotografie di Francesco Targhetta (Isbn, 2012)
L’estraneo di Tommaso Giagni (Einaudi Stile Libero, 2012)
Cose da pazzi di Evelina Santangelo (Einaudi, 2012)
Dentro di Sandro Bonvissuto (Einaudi, 2012)
Ronald D. Laing è l’autore della geniale raccolta di poesie Mi ami. Un giorno sua figlia ancora piccola, sfogliando quel libro, gli disse: “Papà, ti hanno fregato! Nel tuo libro c’è più bianco che parole!”
Il segreto della poesia – e il suo puzzare di fregatura ai non avvezzi – sta forse in tutto quel bianco. Gli sbrodoloni, i prosastici, quelli che amano il nero, si sentono intimamente lontani e diversi dai poeti, in modo un po’ stupido e cieco. La definizione “poeta”, del resto, ormai è una macchietta anche più di “scrittore”. Ma non è solo per questo, per la stupida e istintiva simpatia per la prosa, che Perciò veniamo bene nelle fotografie è definito “romanzo in versi”. Se una raccolta di poesie – come una di racconti – permette un randagismo che non è proprio del romanzo, di questo libro non si può dire proprio lo stesso. Alcuni personaggi tornano, nomi sfuggenti: Mara, Teo, Dario; come tornano i luoghi: i Murazzi, via Tiziano Aspetti, il Nazionale. Insieme questi versi hanno forte, della poesia, il senso di sospensione e non detto – in una certa misura di assoluto – che l’economia di parole impone. Non ci si può sprecare in una poesia, si può renderla lunga e vorticosa inanellando elenchi di nomi e aggettivi, ma la forma della frase, il pensiero della narrazione, sarà radicalmente diverso da quello considerato primo nella narrativa.
La periferia di natura e splendore sommesso e agonizzante; le biciclette per passare in mezzo agli sguardi bigotti; Padova piccola e contraddittoria al centro del Veneto di fantasmi industriali; e il lavoro che non c’è, c’è poco, c’è in forme anomale – la ricerca incessante di una catena che renda liberi di vivere normalmente; tutto questo è sospeso come le parole che non riempiono la riga intera, e si dilungano per pagine magari, ma sempre formate da frasi precise e concise in modo quasi crudele.
«Vorrei parlarti per messaggi predefiniti,
tipo sono in riunione, ti chiamo dopo
o arrivo tardi, non aspettarmi
e consacrarti un’antenna telefonica
mascherata da cartello stradale,
o il suono degli allarmi il pomeriggio
alle sei, quando starai sul divano
meditando sulla penisola
per la cucina, e riempire mille moduli
del tuo codice fiscale, prenotarti
delle visite presto la mattina leggendo
nell’attesa la cronaca locale, guadagnare
con un gratta e vinci anche solo dieci
euro, per comprarne un altro e perderli
subito, ma voglio riservarti qualche brivido,
mica soltanto queste angosce
da pubblica amministrazione,
perché è ripido lo scivolo, lo sai,
e per dedicarti un mutuo alla radio
dicendoti ti amo dovrò aspettare
chissà quanto ancora, per riscoprire
la vita vera prenotandoci un agriturismo,
immersi in piscina, nel sapore
di ciambelle di Sora, con il rischio
di stancarci di tutto molto prima,
ascoltando i dischi di musica leggera
che si vendono solo in autogrill».
Perciò veniamo bene nelle fotografie: perché siamo fermi, nelle sabbie mobili di una vita su cui non abbiamo controllo, persi. E come in una fotografia, in questo libro le forme sono nette, ogni parola è necessaria come i contorni delle cose. Cambia solo il senso di movimento: questo libro scalpita senza senso di persecuzione, come istantanee di vere vite che spesso parlano più con i vuoti e silenzi che a parole.
Nota sull’autore
Francesco Targhetta è nato a Treviso nel 1980. È assegnista di ricerca presso l’Università di Padova.
Per approfondire
Leggi la recensione su doppiozero
Leggi la recensione/intervista su Subliminalpop
Francesco Targhetta
Perciò veniamo bene nelle fotografie
Isbn, 2012
pp. 247, 19,90 €