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Egitto / I militari non piacciono /E il fondamentalismo islamico c'entra in parte

Creato il 07 settembre 2013 da Marianna06

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Ieri, nell’ennesimo venerdì, giornata che avrebbe dovuto essere dedicata alla preghiera per i musulmani, si sono verificati disordini e violenze in parecchie strade e piazze del Cairo  come di altrettante importanti città egiziane.

Protagonisti,a quel che riporta la stampa e i “media” locali , sono i sostenitori del deposto presidente Morsi e della Fratellanza Musulmana, molto allertati da fatti e indiscrezioni delle ultime ore.

Essi propagandano tra la gente l’idea che l’attuale potere politico ( lo riferisce il quotidiano Al Masry Youm) sia molto impegnato nella costruzione di false prove a loro carico. E che, dunque, non si possa affatto rimanere passivi.

La risposta dei militari, come nelle previsioni, non si è fatta attendere e  sono comparsi i blindati.

E’ ancora ben presente, infatti, la pericolosità dell’attentato di stampo terroristico di due giorni fa, a Nasr City, nei confronti del ministro degli Interni, Mohamed Ibrahim, uscitone illeso, che ha  fatto contare ben 21 feriti tra la popolazione inerme.

Ma tralasciando le proteste e le ambizioni della Fratellanza Musulmana e dei suoi seguaci, che intendono  proporre a tutti i costi un salto nel passato, il più ottuso e reazionario possibile, neanche i militari godono di grosse simpatie tra la gente.

Nessuno ha dimenticato niente.

L’epoca della monarchia o del regime militare è  tramontata. L’Egitto reale, quello di questi giorni, sta tentando, a suo modo, con i pochi mezzi e tutte le intelligenze di cui dispone, d’imboccare la difficile via della democrazia. Pur conoscendone preventivamente tutti gli ostacoli.

 E, come sostengono alcuni esperti di “cose” egiziane, non c’è petrolio che tenga (leggi:  sostegno della monarchia saudita ai Fratelli Musulmani).

L’impegno di Stati Uniti e mondo occidentale, specie di quelli poi che sono i Paesi del Mediterraneo,che lo hanno come dirimpettaio, è essenzialmente  di creare, per vie diplomatiche e semmai si riuscirà, un’intesa durevole tra le parti avverse all’ interno, consapevoli  che il cammino democratico, sia pure a piccoli passi, non può  più, ormai, essere tramandato.

Abbiamo in Egitto infatti, specie tra i giovani, quelli di piazza Tahrir, avversi alle lobbie di qualunque tipo, un livello di emancipazione intellettuale, che fa ben sperare.

E questo conta. E parecchio pure.

E, poi, non bisogna chiudere i sogni troppo in fretta in un cassetto.

 

   a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)


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