Egoist!

Da Pythia
Ieri sera leggevo su Faccialibro lo status di un'amica - che sarebbe più preciso definire conoscente: si lamentava della soppressione del treno che avrebbe dovuto portarla a casa per colpa di un incidente lungo la linea. Le voci parlavano di un generico investimento, ma chissà perché l'amica e i suoi amici che hanno commentato il fatto davano quasi per scontato che si trattasse di un suicidio.
Sono rimasta sconvolta dalla superficialità e dall'egoismo di queste persone di fronte a una tragedia, e dalle loro espressioni di disprezzo nei confronti di un poveretto colpevole di aver turbato le loro vite perfette e fatto perdere il loro preziosissimo tempo.
Ho trascorso diversi anni da pendolare e so cosa vuol dire avere a che fare tutti i giorni con treni iper-affollati, sporchi, frigoriferi in inverno e forni in estate (per non parlare del viceversa, che sa di presa per i fondelli), con coincidenze impossibili, puntualmente in ritardo, con biglietti e abbonamenti in perenne aumento senza che ci sia un corrispettivo miglioramento del servizio e l'unica consolazione di un misero sconto all'anno, proposto ovviamente a luglio o settembre, quando gli universitari maggiori utilizzatori del servizio non hanno la necessità di una trasferta quotidiana.
So bene cosa significhi cominciare la giornata sperando che il treno sia in orario per non arrivare in ritardo a lezione, e concluderla a tarda sera con l'unico desiderio di un bagno caldo e di un paio d'ore svaccati davanti alla tv.
So anche cosa voglia dire trovarsi davanti a un ritardo indefinito a causa di un incidente, dato che purtroppo mi è capitato due volte: e ogni volta dovevo tapparmi le orecchie per non sentire i commenti stizziti di chi si trovava intralciato e chiudermi la bocca per non sbranarli.
Perché mi chiedo la gente non mette da parte la piccolezza della propria vita di fronte a un dolore, a una tragedia così grandi come può esserlo la morte di un poveraccio, soprattutto se è stata una sua scelta.
È tanto facile scadere nei luoghi comuni del "niente è irrisolvibile", "basta chiedere aiuto", "ci sono tante soluzioni diverse dal suicidio", "è un atto di egoismo/codardia", per concludere con un "se proprio deve, che lo faccia a casa propria e non venga a rompere le scatole agli altri".
Queste persone per cui è tutto così facile si sono mai chieste cosa voglia dire trovarsi a vivere un dolore così grande per cui l'unica scappatoia possibile sia solo la morte? Cosa ne sanno del chiedere aiuto? Magari quella persona ci ha provato più volte e in cambio ha ricevuto solo incomprensioni o porte sbattute in faccia. Magari le soluzioni che ha tentato non sono state sufficienti. Probabilmente la sua è stata una scelta tristemente meditata di fronte a una prospettiva di dolore e miseria.
Che ne sanno loro del senso di solitudine che provano i suicidi? Della completa inaiutabilità che avvertono attorno a sé.
Che ne sanno loro di cosa voglia dire porre fine ai propri giorni, rinunciando alla speranza che ormai hanno perso, condannando i propri cari al rimorso ma non trovando in questo abbastanza forza da farli desistere?
Di solito chi sceglie di buttarsi sotto a un treno lo fa quando passano i convogli ad alta velocità: avete presente la furia dell'attimo in cui il treno passa? Lo spostamento d'aria, lo sferragliare delle ruote, la velocità così implacabile da non poter essere fermata.
E pensate a cosa voglia dire trovarsi a morire lontano da casa, magari al freddo, al buio, lasciando dietro di sé solo un macabro puzzle irriconoscibile.
Di fronte a un fatto del genere, l'unica parola degna di essere pronunciata è "silenzio". Tenetevi per voi le vostre lamentele, risparmiate le proteste per quel tempo che state perdendo, meditate sulla vostra piccolezza e godete della vita che ancora avete.
Il mondo non gira attorno a voi.

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