Il bosco sembra in fiamme tutto colorato di giallo e di rosso e i profili dei monti sono così nitidi che ci si può divertire ad esplorarne i profili in tutti i dettagli. La natura sembra riposare prima di sbaraccare completamente e dar posto alla neve, al ghiaccio e alla lunga notte invernale.
Sembra una di quelle notti, dopo la festa, quando si abbassa la musica e si comincia a chiacchierare alticci, stanchi ma sereni.
Le zanzare non danno più fastidio, ho dovuto sopportare solo qualche vespa nell'ora della pausa pranzo. C'è un silenzio profondo ad avvolgere il bosco ogni tanto rotto dal richiamo di un uccellino, dal rumore della brezza sulle foglie delle betulle.
Nient altro.
Cinque giorni di bel tempo, sette giorni senza pioggia, quanto di meglio per chi deve piantare alberi.
Questa settimana ho messo a dimora 1800 abeti. I giovani alberi non erano più alti di trenta centimetri ma tutti sani e rigogliosi. L'obiettivo era quello di riforestare una conca fertile ed umida dell'estensione di circa due ettari e mezzo. Il sito è a mezz'ora di moto dalla casa nella quale vivo per questa ragione ho deciso di portarmi il pranzo al sacco. Lungo il tragitto c'è un da attraversare un guado perché il disgelo primaverile ha distrutto la pista forestale.
Il lavoro all'inizio è stato un po' complesso perché nella conca vi era una lussureggiante vegetazione erbacea e arbustiva che faceva perdere il senso di orientamento, qualcosa di seccante se ti hanno incaricato di piantare gli alberi a righe dritte (sesto di impianto 2 x 2).
Dopo parecchie parolacce e riflessioni geometriche ho capito che l'unica maniera per fare righe dritte è piantare gli alberi a triangolo equilatero. Se ne piantano un paio (A e B) a 2 metri di distanza e il terzo C a 2 metri rispettivamente da A e a 2 metri da B. Si forma così un triangolo equilatero; aggiungendo alberi con questo criterio alla figura che si forma si ottengono righe molto precise.
La buca si scava con una specie di zappa succhiello, metallica. Premendo l'attrezzo con il piede si estrae una carota di terreno creando così il buco per l'albero. Il terreno è una specie di spugna morbida di muschio e humus nero. Da questo punto di vista, mettere a dimora abeti non è molto faticoso.
Ogni tanto facevo delle pause per sgranchirmi, scattare qualche foto e riflettere.
Pensavo che questi abeti saranno maturi più o meno nell'anno 2100 ossia a tagliarli saranno i figli dei miei nipoti. Ci pensate, in un mondo impaziente con tempi di consegna “24 ore”, “il prima possibile”, “entro una settimana al massimo”, sto svolgendo un lavoro che vedrà un risultato fra novant'anni.
E' affascinante, mi sto dedicando a qualcosa che di sicuro andrà oltre la mia vita.
Mi sono immaginato quegli uomini che ora come ora non esistono nemmeno nei pensieri, che nasceranno, cresceranno, vivranno esperienze simili alle mie in un mondo, spero migliore ma che sicuramente andrà loro stretto.
Chissà se allora mi restituiranno la cortesia, se si renderanno conto che quella pecceta così geometrica non è naturale. E chissà come reagiranno se sapessero che a piantare quegli alberi è stato un italiano di cui si sono perse le tracce e dimenticato il nome.
Non so a voi ma a me capita di pensare a uomini lontani osservando prodotti esotici, specie il caffè. L'odore del caffè mi rimanda all'immagine di un gruppo di contadini colombiani don la pelle bruciata dal sole e dai vestiti chiari con i cappelli di paglia che chiacchierano fra loro a fine giornata. E' un immagine stupida, probabilmente non si vestono nemmeno così e quando hanno finito la giornata corrono a casa però il loro caffè mi parla di loro.
Anche la prossima settimana pianterò alberi, speriamo faccia bel tempo.