Ecco, forse si spiega solo in questo modo, se si può spiegare, con una magia o un incantesimo nel bel mezzo di una lontana estate al mare - i periodi di vacanza sono quelli che si studia meglio, perché non si è distratti dalla scuola - la capacità che Carlo Rovelli ha di vedere la scienza e di trasmettercela.
Appartengo alla nutrita schiera delle persone che in quel libro, presumibilmente, avrebbero constatato soltanto astruserie incomprensibili e mortalmente noiose. Carlo Rovelli, no: formule e calcoli sono lo strumento di una straordinaria visione, che ha molto a che vedere con la bellezza, che sa addirittura farsi canto mistico, o qualcosa del genere.
E' prodigioso - e sorprendentemente premiato anche dalle vendite - questo suo piccolo libro: Sette brevi lezioni di fisica (Adelphi). E non solo perché riesce a far capire qualcosa anche a me della curvatura dello spazio e della teoria delle particelle. Ma perché soprattutto sa emozionare. Sa spingerti fin sul ciglio dell'ignoto, senza paura delle vertigini.
E la materia diventa energia, vibrazione. E tutto si riduce a particelle elementari che pullulano e si combinano e fluttuano in continuazione tra l'esistere e il non esistere. E gli stessi elettroni esistono solo se sono guardati, se in qualche modo si ripete il miracolo di un incontro. E tutto è così perché deve essere così, ma allo stesso tempo lo è solo come una probabilità tra le infinite come se Dio non avesse disegnato la realtà con una linea pesante, ma si fosse limitato a un tratteggio breve.
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Così pazzesco, così semplice: l'alfabeto dell'universo. Quasi dispiace, che abbia lasciato trascorrere anni, decenni, senza curarmene.
Ci vuole un po' d'impegno e fatica. Ma meno di quelli necessari per arrivare a sentire la rarefatta bellezza di uno degli ultimi quartetti di Beethoven. In un caso e nell'altro, il premio è la bellezza, e occhi nuovi per vedere il mondo.