Dobbiamo proprio ammetterlo: anche quello che lo stesso Einstein aveva giudicato un errore, sembra oggi non essere più tale. O almeno non molto lontano dalla verità. La costante cosmologica inserita per spiegare l’espansione dell’Universo, che il grande fisico aveva formulata e presto ritrattata, riprende sempre più vigore e ha ormai un nome ben preciso: energia oscura.
Devo ammetterlo, non ho mai creduto molto nella materia e nell’energia oscura. Mi sembrava una specie di artificio teorico per fare tornare i conti. Sotto sotto, forse, preferivo che si cambiasse la legge di gravità (vedi articolo di qualche settinana fa). Tuttavia, un nuovo, accurato e gigantesco studio compiuto su un numero enorme di galassie sembra confermare decisamente che l’Universo stia veramente accelerando la propria espansione. Qualcosa di non visibile, ma estremamente reale deve causare questa tendenza.Cosa di più semplice e intuitivo, allora, di un’energia che ci trascina verso un oceano sempre più vasto? Il nostro Universo è come se galleggiasse in un fiume invisibile che si allarga sempre di più, mano a mano che si avvicina al mare. Galassie come naufraghi che cercano disperatamente di tenersi per mano attraverso la legge di gravità, mentre la corrente sempre più impetuosa e le dimensioni crescenti del letto fluviale lottano per distruggere il loro legame e allontanarli fino a disperderli nel mare senza dargli la possibilità di vedersi l’un l’altro. Scusate il paragone, sicuramente inesatto per molti versi, ma l’impressione finale che mi assale è proprio questa.Torniamo ai dati scientifici, e permettetemi un breve prologo, che sarà molto utile per il proseguo dell’articoloSappiamo che circa 400000 anni dopo il Big Bang l’Universo era denso e caldo, saturo di particelle ed energia. Una specie di zuppa primordiale. Leperturbazioni reciproche scatenarono sistemi di onde energetiche in qualche modo simili ai cerchi che si originano buttando un sasso nell’acqua. Essi si scontrarono, si annullarono, si sommarono a ritmo impressionante e rapidissimo. In questo sistema caotico (anche se in realtà si stava andando verso l’ordine) iniziarono a crearsi concentrazioni di materia, gli embrioni delle future strutture cosmiche. Questo quadro confuso ma già ben delineato è quanto si osserva nellaradiazione cosmica di fondo.Da quegli embrioni sono nate le galassie e le loro distanze reciproche nelle fasi più antiche sono state controllate proprio dalle fasi turbolente iniziali. Le increspature formatesi attraverso le onde energetiche hanno creato una specie di distanza “preferita” tra le strutture. In altre parole, le galassie primitive si sono sistemate a distanze reciproche non casuali, ma dipendenti dal gioco di forze che aveva dominato l’Universo “bambino”. Un “righello” abbastanza regolare e costante separava le prime creature che iniziavano la loro vita.
Gli astronomi hanno allora misurato milioni di galassie, separandole in base alla loro distanza da noi (ossia in base alla loro età) e producendo alla fine una mappa tridimensionale di un milione di galassie comprese tra i 9 e gli 11 miliardi di anni luce. A quel punto si è potuto misurare il righello, che è risultato piuttosto ben definito, come la distanza tra le creste delle onde oceaniche che si susseguono con regolarità. Il valore “odierno” è stimato essere di circa 500 milioni di anni luce (occhio, che si intende tra galassie NON appartenenti a un gruppo o ammasso).
Figura 1. Lo schema di determinazione del "righello" che separa le coppie di galassie
A questo punto possiamo tornare ai recenti risultati osservativi.Il Galaxy Evolution Explorer della NASA e il telescopio anglo-australiano di Siding Spring hanno compiuto un lavoro eccezionale, studiando per 5 anni 200000 galassie. Lo scopo era quello di misurare la loro distanza per poi calcolare l’espansione dell’Universo.Per misurare la distanza delle galassie lontane si usa normalmente il metodo delle “candele standard”, ossia delle supernove di tipo Ia. Dato che la luminosità intrinseca di queste è pressoché costante, la diminuzione apparente della loro luminosità dipende solo e soltanto dalla distanza. Misurando per ognuna di queste galassie la velocità di allontanamento (redshift) si risale alla velocità di espansione dell’Universo.A questo punto però si è aggiunto un secondo metodo indipendente, quello basato sul “righello”. Prendendo come distanza odierna tra coppie di galassie 500 milioni di anni luce, si è visto che questa distanza varia in funzione del tempo. Più una coppia di galassie è lontana da noi e più piccola è la distanza reciproca. Una conferma indipendente dell’espansione accelerata. Per capire meglio la differenza tra i due metodi, basta dire che il primo si basa su una misura di luminosità, il secondo su una misura di distanza, come mostrato e spiegato nella Fig. 2.Figura 2. Il diagramma illustra i due metodi usati per misurare la velocità di espansione dell’Universo. A sinistra quello delle “candele standard”. Le supernove di tipo Ia hanno una luminosità intrinseca costante. Se esse vengono osservate in galassie diverse e mostrano luminosità diverse significa che le galassie si trovano a distanze diverse. In altre parole, misurando la variazione luminosa si risale alla distanza. A destra il metodo del “righello”. Esso si basa sulla preferenza (dovuta alla costruzione primigenia) che hanno le coppie di galassie di situarsi a una distanza costante tra loro. Questa distanza può variare nel tempo solo a causa dell’espansione dell’Universo. Oggi questo righello vale circa 500 milioni di anni luce. Osservando i valori del righello per coppie di galassie di epoche diverse, si misura quindi l’espansione dell’Universo. Apparentemente è come se si osservasse un righello, di lunghezza fissa, a distanze sempre maggiori.
Questa doppia conferma, favorisce di molto l’ipotesi dell’energia oscura e chiarisce come essa potrebbe agire. Essa è in perenne battaglia con la gravità. Nei primi otto miliardi di anni dell’Universo, la gravità vinceva facilmente a causa della relativa vicinanza delle galassie. Dilatandosi lo spazio e diluendosi la materia al suo interno, la gravità iniziò a perdere colpi rispetto all’energia oscura, che agiva e agisce in senso opposto. E come se si lanciasse una pallina sempre più in alto, fino a che a un certo punto invece di cadere a terra venisse trascinata sempre più lontano: fino a una certa altezza vince la gravità, poi il fiume impetuoso dell’energia oscura ha il sopravvento. Ecco i nostri naufraghi separati dalla corrente del fiume invisibile.In altre parole, è come se esistesse una costante cosmologica da sommare all’espansione dell’Universo a seguito del Big Bang. Per un po’ la gravità l’ha contrastata egregiamente, ma a un certo punto ha dovuto cedere. Ecco quindi l’accelerazione dell’espansione attuale. Insomma, l’errore di Einstein per riuscire a spiegare un Universo statico che non collassasse su se stesso per auto gravitazione, non era poi un vero errore.Pensate cosa potrebbe dire oggi il grande fisico se avesse in mano le ultime prove osservative? Non oso nemmeno pensarci, senza nulla togliere ai fisici di oggi, ovviamente…Fig 3.
La griglia viola rappresenta l’energia oscura che si distribuisce ovunque nell’Universo e lo trascina con sé. La griglia verde rappresenta gli effetti “locali” della gravità, costretta a cedere quando le distanze diventano troppo grandi.
SERVIZIO A CURA DI Vincenzo Zappalà