Einstein, vedo quattro supernovae!

Creato il 05 marzo 2015 da Media Inaf

l’ammasso di galassie MACS J1149.6+2223, a oltre 5 miliardi di anni luce da noi, nella ripresa del telescopio spaziale Hubble ottenuta combinando i dati di tre mesi di osservazioni con la Advanced Camera for Surveys nel visibile e con la Wide Field Camera 3 nel vicino infrarosso. Nel riquadro è indicata l’immagine quadrupla della supernova dietro l’ammasso, meglio visibile nell’ingrandimento a destra. La supernova dista dalla Terra 9,3 miliardi di anni luce ed è stata scoperta per la prima volta l’11 novembre del 2014.
Crediti: NASA, ESA, and S. Rodney (JHU) and the FrontierSN team; T. Treu (UCLA), P. Kelly (UC Berkeley), and the GLASS team; J. Lotz (STScI) and the Frontier Fields team; M. Postman (STScI) and the CLASH team; and Z. Levay (STScI)

Cento anni e non sentirli, anzi. La Teoria della Relatività Generale formulata da Albert Einstein compie un secolo e continua a fare notizia, ma soprattutto, scienza.
L’ultimo, entusiasmante risultato ad essa legato arriva da un team internazionale di astronomi, guidato da Patrick Kelly, dell’Università della California a Berkeley, e a cui hanno partecipato Adriano Fontana, dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Roma e Tommaso Treu, ricercatore italiano dell’Università della California a Los Angeles. Grazie alle riprese realizzate dal telescopio spaziale Hubble della NASA dell’ESA i ricercatori hanno individuato la prima immagine multipla di una lontana supernova, distante oltre nove miliardi di anni luce da noi. Una sorta di ‘miraggio cosmico’ prodotto da una galassia ellittica e dall’ammasso di galassie in cui si trova attraverso l’effetto di lente gravitazionale. Effetto che ha concentrato e replicato in quattro zone del cielo – vicine ma distinte – la luce della supernova. Un fenomeno prodotto da un oggetto celeste di grande massa quando si trova lungo la linea di vista tra una sorgente luminosa e l’osservatore, predetto proprio dalla Relatività Generale. Un risultato, pubblicato nell’ultimo numero della rivista Science, uno speciale sul centenario della Teoria di Einstein,  che aiuterà gli astronomi a migliorare le loro stime della quantità e della distribuzione di materia oscura, invisibile ai nostri strumenti, presente nella galassia e nell’ammasso che hanno agito da lente.

«E’ stato un evento importante: ha coronato un sogno che gli astronomi inseguivano da cinquant’anni ormai, quello cioè di rivelare una supernova con l’effetto della lente gravitazionale» dice Adriano Fontana. «Per di più, quella osservata da noi si è mostrata in un modo veramente spettacolare, con le sue quattro immagini distinte. La rivelazione della supernova ci permetterà anche di misurare in maniera più accurata la materia oscura contenuta in queste galassie e in questi ammassi di galassie. Una cosa di fondamentale importanza poiché gran parte della massa presente nell’universo è composta di materia oscura».

Gli astronomi oggi conoscono decine e decine di galassie e quasar le cui immagini sono amplificate, distorte o moltiplicate da effetti di lente gravitazionale, ma mai prima d’ora avevano registrato un simile effetto su una supernova, ovvero l’esplosione di una stella di grande massa giunta alla fine del suo ciclo evolutivo, che per giorni o settimane brilla con un’intensità pari a quella di miliardi di soli.

L’immagine multipla della supernova è stata scoperta l’11 novembre 2014 da Patrick Kelly, nell’ambito delle attività di ricerca della collaborazione GLASS (Grism Lens Amplified Survey from Space). L’oggetto celeste è apparso nelle riprese del telescopio spaziale Hubble nel campo di vista dell’ammasso di galassie denominato MACS J1149.6+2223, che si trova più di cinque miliardi di anni luce da noi. Ulteriori indagini del gruppo GLASS insieme ai ricercatori del progetto Frontier Fields, guidato da Steve Rodney della Johns Hopkins University negli Stati Uniti, hanno utilizzato le osservazioni del telescopio Keck sulle isole Hawaii per determinare con certezza la distanza della galassia ospite della supernova, confermata in 9,3 miliardi di anni luce.

La luce della supernova è destinata ad affievolirsi a breve. Ma gli astronomi sono convinti che presto, ovvero nell’arco di appena qualche anno, ricomparirà nell’ammasso, in una posizione differente. Una previsione basata su modelli teorici elaborati al computer che descrivono le varie traiettorie che la luce della supernova sta percorrendo nei meandri dell’ammasso galattico. Traiettorie diverse, con lunghezze diverse e che quindi determinano l’apparizione delle immagini in tempi diversi.

«Le immagini multiple che abbiamo osservato seguono diverse traiettorie nello spazio dove si trova l’ammasso di galassie, un po’ come se dovessero attraversare Roma passando per il centro o facendo il giro intorno al Raccordo Anulare» spiega il responsabile del progetto GLASS Tommaso Treu, professore di Fisica e Astronomia all’Università della California a Los Angeles e co-autore dell’articolo su Science. «Una delle immagini ha preso il raccordo e quindi va più veloce ma la strada è più lunga. Le altre immagini passano per il centro di Roma. A seconda del traffico arriveranno prima o dopo, anche se la strada è più corta. Nel caso delle lenti gravitazionali la lunghezza del cammino è data dalla posizione in cui le immagini appaiono nel cielo, mentre il ‘traffico’ è dato dalla forze di gravità della galassia e dell’ammasso che curva le traiettorie e dilata il tempo. E se abbiamo fatto i calcoli giusti, un’immagine ritardataria dovrebbe apparire tra circa un anno. Saremo pronti a fotografarla con Hubble quando comparirà!»

La Supernova è stata ribattezzata Refsdal in onore dell’astronomo norvegese Sjur Refsdal, che nel 1964 propose per primo l’idea di utilizzare immagini di queste esplosioni stellari alterate da effetti di lente gravitazionale, con l’obiettivo di studiare l’espansione dell’universo.

Per saperne di più:

  • Il   comunicato stampa INAF
  • L’articolo Multiple images of a highly magnified supernova formed by an early-type cluster galaxy lens di Patrick Kelly et al., pubblicato nel numero del 6 marzo 2015 della rivista Science

Fonte: Media INAF | Scritto da Marco Galliani


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