Vladimir Luxuria esordisce con Bompiani con uno splendido romanzo dal titolo “Eldorado” E l’esordio devo dire funziona alla grande sia per la intensa prova di scrittura sia per la sensibilità che affronta nel parlare di mondi altri, amori altri, sensazioni altre ai limiti e forse oltre i limiti. Già perché Vladimir Luxuria con quest’opera di grande ironia e intelligenza, scrive pagine di denuncia senza troppi peli sulla lingua, dando vita a un “j’accuse” fortissimo nei confronti delle umiliazioni estreme subìte dagli omosessuali in uno dei momenti più bui della storia umana. Raffaele, il protagonista, è un anziano omosessuale originario di Foggia, lo stesso paese di Luxuria, da anni trasferitosi a Milano. Una sera Raffaele dà un passaggio in auto ad un ragazzino, in una strada di periferia e viene “spogliato” dei soldi e dell’auto, dopo essere stato malmenato crudelmente. E qui comincia il viaggio nella memoria, al suo rapporto con il pugliese Michele, agli anni precedenti la secondo guerra mondiale, quando si esibiva come ballerino travestito in un locale di Berlino, insieme ad altri due omosessuali, Franz e Karl. Poi l’arresto da parte delle SS, il rimpatrio in Italia per lui, la tortura e la deportazione verso la morte in un campo di sterminio di Franz e Karl. “Milano, anni ottanta Altri cinque minuti. La situazione era sotto controllo. La lancetta rossa dei secondi girava ticchettando. Raffaele si mise a fissare l’orologio a pendolo colorato a forma di baita; sotto, tra le pigne appese, una fanciulla sorridente attaccata alle funi di un’altalena oscillava a destra e a sinistra. Come in preda a uno stato ipnotico allentò l’impugnatura sui pomoli e adeguò il movimento della mezzaluna a quello del pendolo, poi si distolse e riprese a sminuzzare con vigore il ciuffo di prezzemolo sul tagliere. Sorridi anche tu al tempo che scorre. Sei giovane e bello e hai un grande futuro dietro di te! Sorridi agli anni che passano e non preoccuparti mai del futuro… vedrai, il futuro se la caverà benissimo anche senza di te! Buon compleanno, le tue care carogne amiche. Bastarde! pensò e sorrise ricordando il bigliettino che i suoi amici gli avevano fatto trovare nella scatola dell’orologio a pendolo che aveva ricevuto in regalo. Gli amici rimasti. Si erano divertiti alla festa del suo compleanno, qualcuno gli aveva anche ricordato che ormai alla sua età costavano più le candeline della torta. Gli venne alla mente una frase famosa, quella dell’attore comico americano George Burns: “Quando avrai ottant’anni avrai imparato tutto della vita. Il problema sarà ricordarlo!” Il traguardo di quella età si avvicinava sempre di più. Adesso la cena era pronta. Spense la fiamma, alzò il coperchio della pentola e disperse nelle nebbie del vapore quei verdi coriandoli tritati. Nel tempo necessario a lasciar freddare la minestra avrebbe preparato la tavola, un rito quasi religioso al quale dedicare tutte le cure. Raffaele non trascurava alcun dettaglio: la tovaglia doveva essere stirata e sempre linda, senza macchie come la camicia bianca della domenica, una distesa profumata sulla tavola di uccelli dorati e angioletti ricamati con il filo cangiante che piaceva tanto alla mamma; gliela aveva lasciata in eredità e tutte le volte che apparecchiava era una dolce occasione per ricordarla. La brocca dell’acqua, il calice per il vino, il sottopentola, il piatto fondo sul piatto piano, la candela accesa, il suo vaso preferito di porcellana verde tubolare a forma di bambù con un crisantemo bianco. Alla faccia di tutti quelli che pensano che sia un fiore luttuoso! si disse convinto; ma ne tolse un paio di petali avvizziti. Gli piaceva lasciare una sedia in più, sebbene vuota gli faceva compagnia. Tenendola con le presine posò la pentola di terracotta attento a non scottarsi e ne versò il contenuto con il mestolo nel piatto per farlo freddare più velocemente. Il profumo era intenso e invitante, ci aveva messo gli ingredienti giusti: patate, carote, verza, bietola, porro, fagioli, cipolla e pane raffermo. Niente sale. Gli avrebbe fatto male. Amava la cucina dei contadini, l’arte di non buttare via nulla che è peccato, il suo essere riconoscente a chi aveva saputo arricchire per povertà il nostro ricettario. Nulla deve essere sprecato, il pane deve essere ridotto a una roccia di muschio per essere costretti a buttarlo via, baciandolo prima in segno di rispetto.
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