di Giacomo Pagone
“Polvere di luna,
la notte fa paura,
stelle, buio e pioggia,
su una vecchia scopa viaggia,
se la vedi scappa,
altrimenti la vecchia Eleanor t’acchiappa”
Le parole alternate al movimento della corda. Saltare la corda ripetendo questa strana filastrocca dava alle bambine un fremito di paura ed eccitazione allo stesso tempo. Le loro mamme le avevano messe in guardia dalla vecchia Eleanor Rose. Era una strega, dicevano. Poteva trasformare i principi in rospi e far addormentare le principesse per centinaia d’anni.
In paese la conoscevano tutti, la vecchia strega. Tutti la prendevano in giro, dicevano che era solo una vecchia pazza, ma nel silenzio delle proprie case, velate dal buio notturno, tutti la temevano. Alcuni, i più temerari, si rivolgevano a lei per maledire rivali e nemici o per far nascere amori in origine non corrisposti, attraverso filtri e bevande d’amore. Nessuno la conosceva bene. Nessuno conosceva la sua storia. Era una strega, che importava il resto?
A lei non importavano quelle voci, amava la quiete della sua casa nel bosco, un insieme di vecchi mattoni grigi, anneriti dal fumo che, quotidianamente, che fosse inverno o estate, usciva dal camino. Il tetto in paglia e le imposte di legno scuro completavano lo stile spartano di quella piccola capanna spettrale immersa nel centro del bosco di querce secolari, poche centinaia di metri più in là del ruscello incantato, dove, secondo la leggenda, si abbeverava l’ultimo unicorno ancora in vita in questo strano mondo.
I bambini erano incredibilmente affascinati dalla storia della vecchia Eleanor. Le madri li minacciavano di abbandonarli nel bosco se si fossero comportati male. Alcuni erano anche arrivati a dire che la vecchia strega avesse una casa di marzapane per attirare i bambini e poi mangiarli, proprio come nella favola di Hansel e Gretel, dei fratelli Grimm. Quel che si sapeva per certo era che la vecchia Eleanor Rose aveva un gatto nero, dagli occhi gialli, tutto spelacchiato, da cui non si separava mai. Qualcuno, nessuno sapeva bene chi fosse stato, aveva messo in giro la voce che il nome del felino fosse Belzebù, per rendere omaggio al signore degli inferi con cui la strega aveva stretto un patto per vivere in eterno.
In realtà, il micio spelacchiato dagli occhi gialli si chiamava Malachia, e seguiva la sua spaventosa padrona ovunque ella andasse. Chiunque li avesse visti insieme avrebbe sicuramente pensato che il felino altri non fosse se non una sentinella infernale mandata dal demoniaco Lucifero per accertarsi che la strega compiesse al meglio il suo dovere.
Il piccolo paese viveva una vita lenta e noiosa, come se fosse sotto l’effetto di un qualche incantesimo che ne vietasse cambiamenti improvvisi. La comunità cittadina era ipocritamente molto unita: nonostante si odiassero gli uni con gli altri, si parlassero male alle spalle e, potendo, si sarebbero uccisi tra loro, pubblicamente erano tutti amabilmente uniti sotto il vessillo ora di una religione, ora di un’altra. L’unica valvola di sfogo, il capro espiatorio, potremmo definirla, era appunto la vecchia, strana e asociale Eleanor Rose. Era scontato, quindi, che tutte le cattiverie e i dispetti difficilmente tenuti a bada nei confronti degli altri cittadini, si riversassero su di lei.
Eleanor era una vecchina tranquilla. Amava la propria solitudine, motivo per cui non faceva nulla per far ricredere gli abitanti del villaggio su quelle assurde storie che circolavano. I lunghi capelli color argento, le rughe che le scolpivano il volto e le mani ossute sarebbero state sufficienti ad allontanare chiunque. Eleanor, tuttavia, aveva un’altra particolarità. I suoi occhi. Uno verde, come i prati illuminati dal sole, e uno blu, scuro come una notte senza luna. Si raccontavano tante storie su quegli occhi giù in paese. Uno, dicevano, serviva per vedere il presente, come una sfera di cristallo, l’altro serviva per conoscere il futuro. O, ancora, l’occhio blu le serviva per ipnotizzare le bestie, quello verde per ipnotizzare gli uomini.
Anche la vita di Eleanor scorreva lenta e indisturbata. Nessuno si sarebbe avvicinato mai alla sua abitazione, se non spinto dal bisogno di maledire o far innamorare. Di giorno la vecchia Eleanor Rose restava tutto il tempo davanti al caminetto, accarezzando il fido felino che faceva le fusa, beato, sulle sue ossute ginocchia. La sera, invece, usciva per raccogliere bacche, erbe e radici, necessarie per le sue pozioni.
Un giorno, però, l’incantesimo si ruppe, e nel piccolo paese accadde qualcosa di inaspettato. Una carrozza trainata da due cavalli bianchi si fermò proprio davanti la chiesa del paese. Dalla vettura scesero un prete ed un altro uomo. Di loro si seppe, poco tempo dopo, che erano un prelato inviato dalla chiesa della città più vicina, cui erano giunte voci circa la presenza di una strega nel villaggio, e un giornalista miscredente, ostinato a smontare le antiche superstizioni circa l’esistenza di streghe e stregoni. I due uomini si guardarono in cagnesco, quindi, raggiunsero l’unica locanda del paese in cerca di alloggio.
L’indomani il giornalista sedette sulla panchina nella piazza della chiesa, e, con tanto di taccuino, penna e calamaio al seguito, si accinse ad ascoltare il discorso del curato, intorno al quale si era concentrata una piccola folla.
“Mi è stato detto che questo piccolo villaggio è stato scelto dal Signore del Male per mandare un suo messo e corrompere le anime di voi buoni cittadini e lavoratori, al fine di abbandonare la retta via e ardere nelle fiamme dell’Inferno per il resto delle vostre vite”
I paesani si guardarono tra di loro, non comprendendo a cosa si riferissero quelle parole tanto paurose. Il prete, allora, continuò:
“Mi riferisco, gentili anime ingenue, alla strega che appesta questo villaggio, tale Eleanor Rose. La Curia, informata della presenza demoniaca, mi ha inviato qui per salvare le vostre anime e rispedire l’anima corrotta negli inferi”
Ora il discorso era chiaro.
“Amici, fratelli, il Diavolo in persona ha scelto quella vecchia strega per aumentare le schiere del proprio esercito malvagio, e vincere, così, la battaglia che si combatterà alla fine dei tempi. Ora io vi chiedo, onesti fratelli timorati di Dio, volete far parte dell’esercito infernale che sarà sconfitto da quello angelico, il giorno del giudizio divino?”
Al termine del discorso tre donne persero i sensi, i bambini, impauriti dal tono minaccioso del prelato scoppiarono a piangere e si rifugiarono tra le gonne materne.
“Sono solo stupide credenze superstiziose. Non statelo ad ascoltare, amici cari. Non esistono streghe o stregoni, né maledizioni o filtri di eterna giovinezza. Sono solo materiale per scrittori e preti” ribatté secco il giovane giornalista, seduto sulla panchina.
“Taci, miscredente! L’ira divina si abbatterà con egual fervore sulle anime dannate così come su quelle empie. Nessuno sarà risparmiato”
Il giornalista scoppiò in una fragorosa risata, quindi chiuse il taccuino, si alzò e andò via. La stessa scena si ripeté una volta al giorno, per altre sessanta volte. Quando al termine dei due mesi di minacce e sermoni il parroco fu convinto di aver toccato sul vivo quella folla ignorante, nell’ultima omelia indicò la successiva notte come quella ideale per uccidere la strega. La folla ruggì all’unisono, elevando al cielo torce e forconi. Il patto divino era stato sancito: quella stessa notte la popolazione sarebbe stata investita, secondo le parole del prete, dall’Altissimo in persona, del compito di ricacciare il demone all’Inferno.
A nulla servirono le parole del giornalista, il quale, per salvare la pelle, fu costretto a scappare dalla città a gambe levate, essendo stato indicato come complice della strega. Il prete aveva vinto su tutti i fronti.
Quella sera un serpente di fuoco e persone, partì dalla chiesa del paese diretto verso la capanna della strega. Era una notte di luna piena, la luce argentea del satellite naturale illuminava spettralmente il rumoroso bosco, rendendolo come incantato, simile ai boschi descritti nelle favole. I versi dei gufi seguivano la folla, il vento sussurrava parole incomprensibili, passando tra le foglie di alberi e cespugli. Migliaia di occhi seguivano la processione umana diretta verso la propria salvezza. Ad un tratto una grande civetta bianca spiccò il volo, e le sue candide ali brillarono nella luce incantata della luna. Qualcuno provò a prendere la mira per sparare al grande rapace notturno, ma i colpi andarono a vuoto, e l’uccello della notte si confuse nella luce pallida dell’astro della sera. Quando la folla, ora silenziosa, arrivò davanti alla porta della capanna stregata, fu solo il parroco a parlare:
“Esci da questa porta, oscura figura demoniaca, cosicché questa pia popolazione possa ricacciarti nelle fiamme degli Inferi. Dopo questa notte tornerai dal tuo dannato Signore e gli racconterai che mai, e dico mai, egli potrà avere la meglio contro le forze paradisiache. Dico bene, cari fratelli?”
Dalla folla si alzò un insicuro vociare d’assenso. I rumori della notte e le diaboliche storie sentite, riguardo al bosco notturno, influivano su quella povera gente più delle sicure parole del prelato. Quando il prete ebbe finito il suo discorso, la porta, cigolando, si aprì. Un unico urlo di terrore uscì dalle gole dei paesani. Il prete, strappò una torcia dalla mano di un contadino e illuminò l’interno della capanna. Era vuota. Solo un tavolo, un pagliericcio ed il camino di mattoni popolavano quella misera abitazione, altrimenti infestata da ragnatele e polvere.
“La strega è scappata. Ha avuto paura, ma tornerà! Non bruciamo la casa, poiché ella tornerà qui non appena si sentirà più sicura. E noi verremo qui ogni notte finché non saremo sicuri di aver compiuto il nostro dovere”
A queste parole la folla proruppe in un vigoroso urlo, alimentato, soltanto, dalla paura passata. Tutti tornarono alle proprie case e andarono a dormire col petto gonfio d’orgoglio, per aver spaventato la strega.
Come deciso dal prete, ogni notte per altri tre mesi, la folla omicida tornò alla capanna nel bosco, ma ogni notte la piccola casa era sempre la stessa, vuota e disabitata. Nel frattempo, però, nel paese la vita non era più quella di un tempo: litigi e risse e insulti erano all’ordine del giorno. Ci furono due omicidi, uno per questioni di cuore, l’altro per futili motivi da ubriachi. I tentativi del prete di riportare l’unione nel “gregge smarrito”, affinché non si lasciasse il fianco scoperto all’attacco del nemico, furono inutili. Non avendo più un capro espiatorio, la popolazione aveva liberato i propri istinti crudeli, che prima erano riservati alla vecchia strega. Col tempo, anche il prete iniziò a temere per la propria vita, dal momento che erano in molti a pensare che quello scoppio di cattiveria altro non era che una maledizione lanciata dalla strega per essere stata cacciata dalla propria casa. Nessuno aveva più visto Eleanor Rose dalla prima sera in cui si erano radunati di fronte alla sua capanna, ed ora i campi giacevano incolti, le mucche si lamentavano poiché non venivano munte, e le galline, cui nessuno dava più da mangiare, smisero di deporre le uova.
Capita l’antifona il prete, impaurito, seguì le orme del giornalista suo rivale, e scappò dal paese per non farci più ritorno.
Alcune settimane dopo la fuga del logorroico curato, un bambino arrivò correndo e urlando, nella piazza del paese. “E’ tornata”, diceva, “la vecchia strega è tornata”. Un contadino, più coraggioso degli altri, decise di andare a controllare di persona, e si spinse, quindi, fino all’inizio del bosco. Quando vide una sottile lingua di fumo salire verso il cielo, tornò in paese e disse che la vecchia strega era tornata nella sua casa. Da quel giorno il paese ricadde sotto l’incantesimo dell’armonia: la negatività tornò ad essere indirizzata verso la vecchia Eleanor, i campi vennero coltivati, le mucche vennero munte e le galline, nutrite, tornarono a deporre le uova.
Ancora oggi nessuno sa bene come siano andati realmente i fatti. In molti sono sicuri che la strega, tornata nella sua casa abbia annullato il sortilegio. Qualcuno, ma sono in pochi, sussurra che, in realtà, aveva ragione il giornalista, e che le streghe non esistono. Altri, invece giurano di vedere la sagoma di una civetta bianca volare verso la luna tutte le notti di plenilunio.
Per ciò che mi riguarda, ho semplicemente raccontato la storia per come mi fu narrata, senza aggiungere o omettere nulla. Il raziocinio mi imporrebbe di non credere all’esistenza delle streghe, ma, talvolta, quando sono immerso a studiare l’astro della notte, lo ammetto, anch’io mi perdo nelle mie fantasie, e allora vedo una civetta bianca volare verso il bosco e scomparire in quella sottile lingua di fumo che si alza dal camino della vecchia Eleanor Rose. L’unica cosa che posso dire per certo, è che, ancora oggi, nel saltare la corda, i bambini del paese ripetono questa oscura filastrocca:
“Polvere di luna,
la notte fa paura,
stelle, buio e pioggia,
su una vecchia scopa viaggia,
se la vedi scappa,
altrimenti la vecchia Eleanor t’acchiappa”
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