“Elefanti” di Francesco Pittau e Bernadette Gervais, Franco Cosimo Panini

Da Federicapizzi @LibriMarmellata

Una bella opera di cartotecnica, che si poggia su un’idea intelligente e su una realizzazione pulita e raffinata. Un albo capace di suscitare una delle reazioni più preziose in materia di libri e letture: la meraviglia.

Che ci si meravigli quando si sfoglia un illustrato indica che l’autore – gli autori in questo caso – ha saputo giocare su un registro originale, che non si è rilassato dopo una buona intuizione ma è stato in grado di perseguirla e rinnovarla pagina dopo pagina, inducendo anche il lettore a non adagiarsi bensì a restare vigile, aspettandosi di tanto in tanto una sorpresa.
Questa attesa prolunga il piacere, lo rende vivace, dinamico, acceso. Per questo i libri che meravigliano sono strumenti importanti nella formazione di un giovane – e giovanissimo – lettore, il quale, memore del divertimento sperimentato, avrà interesse e volontà nel continuare a ricercarlo.

Ma giocando e divertendosi, si sa, si può anche imparare, esplorare, stimolare e sostenere lo sviluppo cognitivo, prendere confidenza con aspetti del reale, con concetti e linguaggi.

La coppia autoriale Francesco Pittau e Bernadette Gervais – prolifici, brillanti, ironici e molto amati dai bambini – ci guida in un’avventura nel mondo dei colori e delle trasformazioni, delle mescolanze e delle combinazioni. E lo fa scegliendo dei protagonisti che, di primo acchito, mai assoceremmo alla varietà delle tinte: gli elefanti.

Certo, a chi ha un minimo di familiarità con i classici degli illustrati per l’infanzia, non può non sovvenire Elmer, il celebre pachiderma variopinto nato dalla matita di David McKee e al quale, forse, l’ultima tavola di “Elefanti” fa da tributo e citazione.
Ma, normalmente, i grigi bestioni sono ben diversi dai cinque gaiamente tinteggiati che, piccolini, sfilano sulla quarta di copertina dell’albo e che separano un colophon posto in posizione inconsueta dal resto di una copertina altrimenti interamente bianca, con la sola eccezione del titolo, rosso e deciso, in una carattere tipografico netto, definito ed essenziale.

Particolare elegante della facciata è invece l’espediente dei rilievi, secondo il quale la forma dell’elefante – che ritroveremo identica in tutte le rappresentazioni, di varie dimensioni e colori, all’interno delle pagine – e la sagoma che compone i nomi degli autori sono resi tono su tono ma piacevolmente percorribili e riconoscibili al tatto.
Oltre al merito estetico e all’originalità, questa scelta – come molte di quelle che riguardano il progetto grafico e l’architettura di un picture book – ha un valore contenutistico.
In un albo come questo, infatti, la dimensione sensoriale riveste una grande importanza. La vista indubbiamente ma anche le sensazioni tattili sono in ballo nell’esplorazione delle pagine che verranno.
Il bianco, inoltre, fa da vuoto necessario sopra il quale costruire e mettere in scena i pieni, cioè i colori, le forme e le combinazioni di questi.
E’ bene quindi che il lettore lo sappia fin dalla copertina e che entri nel libro con i sensi all’erta e la mente e la fantasia sgombre e pronte.

(L’elemento tattile è molto significativo nell’esplorazione dell’albo. Grande cura è stata infatti impiegata nella scelta dei materiali, nella loro qualità. Le pagine invitano alla carezza; viene desiderio, prima ancora di immergersi nella lettura, di saggiare le consistenze, avvertendo il piacevole contrasto tra la ruvidità dei cartoncini e la liscia scorrevolezza di alcuni inserti.)

L’inizio è immediato, senza preamboli e distrazioni. Nessun frontespizio a ribadire titolo e autori. Già il primo risguardo è utilizzato appieno nella costruzione dell’albo. Da esso principia un susseguirsi di tre doppie facciate che presentano elefanti nei colori primari rosso-giallo-blu.

Dopodiché parte il gioco delle mescolanze. Come in altre pubblicazioni sui colori (ma anche eredità di grandi maestri dell’albo illustrato, come Bruno Munari) il primo trucco cartotecnico è quello che si basa sulla frapposizione di una trasparenza colorata tra una pagina e l’altra.
Ecco quindi che sovrapponendo un foglio di plastica gialla, ora sulla facciata di destra e ora sulla facciata di sinistra, dal blu e rosso si formano verde e arancione. Analogamente accade con rosa e giallo che, sommati all’azzurro, danno origine a viola e verde.

Dalle combinazioni di colori si passa poi alle fustellature che, rivelando pieni e vuoti, permettono trasformazioni. E così sei elefantini neri – di cui uno, aguzzando la vista, non è tinteggiato bensì ritagliato su uno sfondo nero – voltando pagina, diventano uno arancione e cinque bianchi.
La magia viene ripetuta per ben tre volte mutando i colori. Per fissarla meglio o forse per rivelare quante siano le possibilità e le variazioni. Meta-significando anche per suggerire come da un inquadramento ordinato si possa passare ad una differenziazione, una separazione volontaria, qualcosa che più che alla solitudine rassomiglieremmo alla scelta felice.

Dal territorio fisico delle percezioni tattili e visive ci si addentra ora, cogliendo un aggancio, in quello molto più personale delle suggestioni emotive. Ecco quindi che i colori si possono ricondurre alle emozioni, lasciando che la loro evocazione ci suggerisca uno stato d’animo.
Felicità, tristezza, rabbia o serenità. Sollevando alette si possono scoprire i collegamenti ideati dagli autori, concordare o dissentire, lasciando anche aperto il canale del proprio libero sentire ed associare.

Anche la dimensione ludica trova il suo spazio quando, all’incirca nel centro del libro, viene proposto il ben noto ed amato gioco di memoria, nel quale il piccolo lettore è invitato a trovare le coppie di elefanti egualmente colorati nascosti sotto tante finestrelle da aprire.

Ancora, con le adeguate alchimie cartacee, sorprendentemente tutte semplici ma efficacissime, i grossi animali, sempre indiscussi protagonisti, possono cambiare posizione relativa – suscitando qualche risata – possono complicare le loro colorazioni diventando a pois, a strisce e addirittura zebrati.

A chiudere l’albo, come già accennavo all’inizio, un elefante a doppia pagina (doppia pagina che anche stavolta coincide con il risguardo), che rassomiglia ad un ridente arcobaleno, variopinto com’è.
L’emozione finale è quindi sicuramente l’allegria, che porta a compimento un flusso di soprese e sperimentazioni.

Una parola da spendere ancora sulla componente verbale che è ridotta all’essenzialità ed ha una funzione prevalentemente di guida al percorso di lettura (*), favorendo la focalizzazione dell’attenzione e indirizzando l’osservazione, nonché sottolineando i risultati.

(* Per lettura in questa sede ovviamente si intende un processo integrato e composito che non si limita alle sole parole ma si spinge alle decodifica dell’interazione tra immagini, testo e architettura dell’albo)

Un libro pregiato che, pur essendo un prodotto seriale, rassomiglia, per suggestione, ad un manufatto. Probabilmente perché la realizzazione è accurata e si evince, sfogliandolo, l’impegno di mente e mano che ha portato al suo compimento.
Un’opera che non offre solo la pura esperienza fisica e sensoriale– sicuramente appagante e capace di sorprendere – dei giochi di carta proposti e che è in grado di stimolare il lettore su più livelli, portandolo ad apprendere – e perfino a riflettere e sentire – divertendosi.

(Età consigliata: da 4 anni)

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