Elefanti in pericolo. chi lotta per loro?

Da Postpopuli @PostPopuli

di Evi Mibelli

Foto dello Sheldrick Wild Life Trust

Elefanti in pericolo: è emergenza avorio. Mai come in questi ultimi 10 anni il bracconaggio è stato così feroce e organizzato. Lo afferma il CITES (Convention on International Trade in Endangered Species of wild fauna and flora), che ha raccolto e analizzato i dati provenienti dall’IUCN (Internationl Union for Conservation of Nature) sullo stato delle popolazioni di elefanti, quelli dell’Elephant Trade Information System (Etis) gestito da Trafic e quelli del Ciras Trade Database, gestito dal World Conservation Monitoring Centre Unep.

Dall’analisi dei dati emerge la strettissima relazione esistente tra l’aumento della caccia di frodo agli elefanti e il numero dei grandi sequestri di avorio destinati per lo più ai mercati del Sud-est asiatico (senza dimenticarci del Vaticano, che non ha mai firmato la Convenzione di Washington, sottoscritta da 176 stati e che protegge le specie in pericolo, tra cui gli elefanti). Per semplificarvi le cose e per darvi un’idea della tragedia che si sta consumando, ecco qualche numero interessante. In 30 anni la popolazione di pachidermi è scesa da 1.300.000 esemplari a meno di 500.000 unità. Di questo passo, vista anche l’aumentata domanda di avorio da parte dei mercati asiatici emergenti, ci vorrà davvero poco per non veder mai più circolare nelle savane questo maestoso mammifero. Non manca molto tempo, la deadline è stimata per il 2025. In pratica 12 anni. E tutto per asportargli le zanne. Il resto del corpo, invece, resta a marcire a terra, con tutto lo scempio e lo strazio delle carni.

Firmate la petizione del WWF, prima di prseguire nella lettura.

Ma quanti conoscono la vita segreta di questi animali? Pochi, e tra questi un’altra formidabile donna, che agli elefanti ha dedicato la propria vita: Daphne Sheldrick, insignita nel 1989 dalla Regina Elisabetta del titolo onorifico di Dame Commander of the Most Excellent Order of the British Empire.

Naturalista anglosassone, nata in Kenya 77 anni fa, ha passato la vita ad allevare orfani di elefanti, vittime del bracconaggio, restituendoli alla savana e alla vita selvaggia. Nessuno meglio di lei ne conosce l’intelligenza, l’indole, l’anima gentile e soprattutto l’umanità. Sì, avete compreso bene: UMANITÀ.

Daphne Sheldrick (foto dello Sheldrick Wild Life Trust)

Sposata con David Sheldrick, per decenni responsabile del Tsavo National Park, s’innamora degli elefanti grazie a un incidente dove rischiò di finire schiacciata sotto il peso di 4 tonnellate di un pachiderma, il quale con un gesto rapidissimo della proboscide riuscì a spostarla prima di cadere rovinosamente a terra.

La sua passione per questi spettacolari giganti della savana, la porterà a battersi contro la pratica crudele del bracconaggio e a salvare molti cuccioli rimasti senza genitori, abbattuti dalla stupidità e dall’avidità umana. Racconta come il latte di mucca sia per queste creature indigesto. “Il latte con cui li ho fatti crescere è quello destinato ai bambini. Il primo segnale di inequivocabile umanità”.

“Ho avuto il privilegio di vivere tra gli elefanti (e anche con altri animali) per tutta la vita, osservandoli allo stato selvaggio per quasi 40 anni, e allevando i piccoli orfani per altrettanto tempo. È soprattutto l’allevamento degli orfani che mi ha dato l’opportunità di comprendere a fondo la psiche degli elefanti. Il parallelo con lo sviluppo della psicologia umana è inevitabile, proprio perché esistono analogie evolutive sorprendenti. A cominciare dall’alimentazione neonatale. Mi ci sono voluti 28 anni per riuscire a perfezionare la formulazione del latte da somministrare ai piccoli orfani, e questo latte è praticamente identico a quello umano. Gli inizi sono stati difficili, e i piccoli che non sono riusciti a sopravvivere sono stati per me motivo di grande frustrazione e dispiacere. Ma con il tempo le cose sono cambiate, e tanti cuccioli sono cresciuti e diventati maestosi elefanti”.

Gli elefanti condividono con noi molti aspetti della vita. Si sviluppano a un ritmo analogo al nostro, rispettando, per esempio, la stessa progressione dell’età. L’età adulta di un elefante corrisponde ai vent’anni per la nostra specie. E con gli umani condividono qualità e difetti.

Hanno un forte senso della famiglia e conoscono il significato della morte. Ogni individuo è unico e irripetibile. Possono essere felici o tristi, provare invidia e gelosia, fanno capricci e possono essere molto competitivi, oppure di indole placida. E rispetto a noi hanno qualità pure superiori; percepiscono perfettamente gli ultrasuoni e possono sentire un rumore di passi a grande distanza. La loro proverbiale memoria è decisamente superiore alla nostra e si estende su tutto l’arco dell’esistenza. Si disperano per la perdita dei propri compagni, piangendo lacrime vere. Sono capaci di compassione e si aiutano gli uni con gli altri quando le avversità portano via compagni a loro cari… Sanno ridere e divertirsi”.

Hanno un cervello simile al nostro, capace di complesse relazioni sociali e di grandi emozioni. Provano compassione, paura, coraggio. Soprattutto conoscono il principio della solidarietà” racconta Daphne Sheldrick.

“È ad Eleanor, matriarca della mia avventura africana e grande ‘amica’ dei miei figli, che devo moltissimo di quanto ho appreso sugli elefanti. Mi affiancava ogni volta che salvavo un piccolo orfano, insegnandomi come prendermene cura. Uno straordinario esempio di amore materno e di accudimento, mosso non solo dall’istinto ma da una vera e profonda comprensione delle necessità di sicurezza e protezione indispensabili per una creatura indifesa. Ogni elefante femmina è, in realtà, proprio come lei, desiderosa di prendere in custodia i giovani e soprattutto i cuccioli, per accompagnarli verso l’età adulta. Un’elefantessa pensa e agisce nella consapevolezza di dover garantire il benessere e la sicurezza della sua famiglia… Al di là delle esigenze dei singoli che possono cadere in disgrazia. E infatti, se un membro è in difficoltà e dev’essere lasciato al suo destino, la decisione spetta alla elefantessa matriarca, che con enorme e indicibile strazio decide il distacco. E il gruppo la segue, perché ne andrebbe della sopravvivenza di tutti. Questo è quanto detta la legge della savana. Ai cuccioli in difficoltà, a quelli che hanno perso la propria madre sotto i colpi dei cacciatori d’avorio, ho dedicato il mio lavoro”.

Ma la solidarietà si manifesta anche tra i piccoli elefanti. Nella scuola materna allestita nel Tsavo National Park, i più grandi si riuniscono in gruppo e accolgono i nuovi arrivati circondandoli per infondergli sicurezza, e gli resteranno vicini fino a quando non si sentiranno integrati.

La straordinarietà delle osservazioni di Daphne Sheldrick arriva a descrivere relazioni sociali e comportamenti umani decisamente comici.
“Olmeg fu il primo orfano a entrare nella mia vita. Aveva appena due settimane quando fu ritrovato intrappolato nel fango. Olmeg è un personaggio complesso, profondamente sensibile e un poco vanitoso. Durante il suo periodo di scuola materna, si beava dell’ammirazione dei suoi consimili più piccoli, tra cui Taru, di 6 mesi più giovane. È normale, per gli elefantini maschi, eleggere un “eroe” nel proprio gruppo. Olmeg è stato senza dubbio il capetto nel paddok dei cuccioli, un vero piccolo boss. Credo pensasse di essere l’elefante migliore e più grande del mondo. E veniamo ai capricci di Olmeg. Ogni giorno, quando arrivava il momento della poppata, Olmeg si comportava come un bambino viziato. Mentre i suoi compagni più piccoli ricevevano quattro razioni di latte, lui più grande ne riceveva tre. Neanche a parlarne! Strillava e voleva essere trattato come gli altri. La soluzione fu preparare una bottiglia d’acqua che sostituisse la quarta di latte data agli altri. Cosa significa tutto questo? Semplicemente che gli elefanti si accorgono se il trattamento loro riservato è diverso rispetto agli altri. E se lo ricordano molto bene”.

Una zanna insanguinata (da cronachelaiche.globalist.it)

Ma c’è un rito straordinario e commovente che sottolinea l’intelligenza ‘umana’ degli elefanti. Quello dell’omaggio ai defunti.
Gli elefanti tornano a distanza di tempo – e anche di molti anni – nel luogo dove sono sepolti i propri cari, per mettere con la proboscide arbusti, foglie e radici sopra la tomba. Sostano in silenzio per piangerli insieme agli altri membri del clan. È un evento sconvolgente per chi l’osserva, che manda in risonanza il cuore e crea un senso di stupore indicibile.

Dovremmo cominciare a guardare al mondo animale con una reverenza religiosa. Loro provengono da un mondo più antico del nostro. Si muovono con saggezza e sono dotati di sensi che abbiamo perduto o, forse, neanche mai posseduti. Sentono voci che noi non potremo mai udire. Provengono da un ‘altrove’ e sono qui con noi nella rete della vita e del tempo, compagni di prigionia nello splendore e nel travaglio della terra”.

Gli animali per molti versi sono più sofisticati di quanto lo è l’uomo. Osservandoli, sono assolutamente perfetti perché restano nel sistema ordinato della Natura e vivono secondo quell’impareggiabile armonia. “Il loro mondo è frutto di una selezione perfetta, che obbliga a un reverenziale rispetto. E tra tutti gli animali, forse il più rispettato e venerato dovrebbe essere proprio l’elefante, perché non solo è il più grande mammifero terrestre ma anche il più emotivamente umano”.

Questo straordinario mondo è gravemente minacciato. “Gli elefanti lo sanno”, sottolinea Daphne Sheldrick; “sanno che vengono uccisi per le loro zanne. Ne sono certa, e sono consapevoli dei rischi che incombono su di loro. Esistono da 5 milioni di anni e ora non sappiamo se riusciranno a sopravvivere per i prossimi 10 anni…”

“Li abbattono con i kalashnikov martoriandone le carni, e mentre sono ancora vivi segano le zanne, lasciando la carcassa agonizzante a terra. Tutto per realizzare bacchette da riso, statuette, collane o crocefissi… Chi vuole aiutarli ha un solo modo per farlo: distruggere tutto l’avorio che si trova in casa, e altrove, per bloccare il commercio killer che alimenta la più orrenda delle stragi”.


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