Dopo lo spettacolo, fra quanti circondano la donna rivolgendole complimenti, vediamo anche un bambino, suo figlio, che aveva seguito l’esibizione dietro le quinte, subitamente allontanato dalla madre, la quale non fatica ad esprimere un certo disagio. Da un comprensibile gesto di stizza del fanciullo, intento a strappare violentemente i petali da alcune rose, una suggestiva inquadratura ci conduce all’interno di una struttura psichiatrica canadese: sono passati vent’anni e quel bambino è ora un ragazzo (Xavier Dolan), degente afflitto da turbe comportamentali.
Xavier Dolan e Bruce Greenwood
Michael, questo il suo nome, viene convocato dal direttore del plesso sanitario, Dr. Greene (Bruce Greenwood), il quale spera con l’aiuto del giovane di venire a capo della scomparsa del collega Lawrence (Colm Feore), visto che è in terapia presso quest’ultimo. Nonostante la capo infermiera Susan Peterson (Catherine Keener) metta in guardia Greene, cui è legata da un passato in comune, sull’arguzia manipolativa di Michael, l’uomo non tarderà a cadere nella sottile trappola ordita dal ragazzo, un quid pro quo che sfrutterà ben presto per raggiungere il suo scopo …. Elephant Song propone agli spettatori, man mano che si sviluppa l’iter narrativo, una soppesata gradualità nell’attirarne l’attenzione partecipativa, offrendo il quadro di una realtà dalle diverse sfaccettature, al cui interno il confine fra ciò che è vero e ciò che è falso, tra normalità e devianza, appare quanto mai labile, soggetto al dominio di svariati flussi mentali.
Quest’ultimi troveranno la loro variabile al’interno di un campo di battaglia dove andranno a scontrarsi oggettività e soggettività, fino a giungere all’elaborazione liberatoria di un opprimente dolore o alla tormentata espiazione di una colpa della quale si è lucidamente coscienti. La sensazione dominante, nonostante i citati e quasi continui “sbalzi” fra passato e presente, è che tutto avvenga “qui e ora”, anche in virtù di un montaggio abbastanza fluido (Dominique Fortin).
Bruce Greenwood caratterizza il suo personaggio con sottigliezza e misura, ogni gesto e sguardo rende evidente il suo disagio nel rapportarsi con quanti, nel lavoro o nella vita familiare, si trovino ad interagire con lui:l’ex consorte Susan delineata da Catherine Keener risaltandone il fare deciso e un dolore a stento trattenuto, l’attuale compagna, l’apprensiva Olivia (Carrie-Anne Moss) ed infine il “paziente per caso” Michael, reso con palpabile veridicità da Dolan.
Il suo fare dolente nel portare a galla disagi esistenziali e traumi subiti si alterna ad un’ estrema e conturbante lucidità nel rendere compimento ad un personale percorso allo stesso tempo salvifico e punitivo, tanto nei confronti di se stesso che di quanti non hanno saputo comprendere i suoi turbamenti, magari confondendo amore e compassione. In definitiva un film interessante, mai banale, cui avrebbe giovato un maggiore ed autentico slancio autoriale al di là della mera resa visiva e del pieno rispetto delle prestazioni attoriali.
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Fondazione Cineteca Italiana, in collaborazione con il Festival MIX Milano, presenta in questi giorni nel capoluogo lombardo, presso Spazio Oberdan, l’anteprima italiana del film: un click col mouse qui e potrete venire a conoscenza della programmazione, che proseguirà fino al 24 gennaio.