I conteggi preliminari di domenica notte e lunedì, riconfermati per ora dal computo definitivo quasi concluso, danno la vittoria col 38% dei voti a Enrique Peña Nieto del Partido Revolucionario Institucional (PRI), il partito “dinosauro”, quello della “dittatura perfetta” (espressione coniata dallo scrittore Mario Vargas Llosa per descrivere un regime autoritario dalla parvenza democratica) che governò il Messico per 71 anni e nel 2000 fu sconfitto dalla destra di Acción Nacional (PAN). Il presidente Vicente Fox governò fino al 2006 e fu rilevato dal compagno di partito Felipe Calderón.
Secondo i risultati preliminari il movimento progressista di Andrés Manuel López Obrador (AMLO) ha circa il 31,5% dei suffragi, ma per ora AMLO non ha ancora riconosciuto la vittoria di Peña in attesa dei dati definitivi che saranno emessi tra il 6 e il 7 luglio e che stanno comunque confermando questa tendenza, anche se in mezzo a enormi polemiche e dubbi per la legittimità di una giornata svoltasi in condizioni deprecabili ma pure per le irregolarità della campagna elettorale. Il candidato delle sinistre ha chiesto “pazienza” e c’è attesa nelle prossime ore per capire gli sviluppi delle azioni legali che intraprenderà o se la protesta sociale sfocerà in una presa delle piazze.
Per ora è prevista una megamanifestazione sabato 7 luglio anti-Peña Nieto mentre un’iniziativa di protesta è stata realizzata giovedì 5 presso il Monumento a la Revolución della capitale. Il gruppo di hackers Anonymous Mexico ha annunciato un’operazione antifrode per cui nei prossimi giorni dovrebbe rendere noti i nomi delle persone e dei funzionari coinvolte nella vendita del voto e nel finanziamento della campagna di Peña. Dal canto loro le autorità elettorali la definiscono queste elezioni come la “più trasparente della storia” e forse paradossalmente è vero, ma bisogna quindi capire come mai sarebbe così “limpido” un voto esercitato in condizioni tanto precarie come segnalano gli osservatori internazionali e i cittadini messicani più critici.
La delfina dell’attuale presidente Felipe Calderón, Josefina Vázquez Mota, è terza con il 25%dei voti e non è riuscita a svincolarsi dall’eredità del suo mentore: economia stagnante (crescita media del PIL in 6 anni sotto il 2% e aumento del lavoro informale e precario nonostante la tanto decantata “stabilità macroeconomica”), 6 anni di guerra al narcotraffico, militarizzazione del territorio, 60.000 morti e 16.000 desaparecidos, sfaldamento del tessuto sociale nella maggior parte dei territori in guerra. Domenica sera Calderón, dopo i convenevoli in TV per la riuscita delle elezioni e l’alta affluenza al 64%, s’è affrettato a fare i complimenti a Peña Nieto per la presunta vittoria quando erano disponibili solo i primi exit poll non ufficiali, pregiudicando la supposta neutralità della sua carica istituzionale.
Ha legittimato così le agenzie di stampa internazionali a lanciare mondialmente la notizia di una vittoria decisa del PRI trascurando, però, di riferire le gravi anomalie riscontrate. Il giorno dopo è arrivata prontamente la telefonata di Obama a Peña Nieto. In Italia il quotidiano La Repubblica ha messo on line una nota redazionale notturna in cui addirittura si diceva che c’era stata una “restaurazione, ma forse un ritorno alla normalità” con la vittoria del PRI: un ritorno alla normalità? In altre parole, forse con sufficienza, il giornale celebrava quasi un ritorno alla normalità della dittatura perfetta del secolo scorso dopo 12 anni di scompiglio “democratico”. La nota ha avuto vita breve, ma è una testimonianza importante della visione che dall’estero cominciava a consolidarsi. Vediamo un po’qual è la “normalità” che pare schiarirsi all’orizzonte dopo il ritorno del PRI.
Sono fortissimi i dubbi sul processo elettorale sollevati da migliaia di cittadini che non hanno potuto votare per le inefficienze e i ritardi del sistema e che sono subito scesi in piazza. Martedì il quotidiano messicano La Jornada ha pubblicato in prima pagina la foto tragicomica dei supermercati “Soriana”, presi d’assalto da centinaia di sostenitori del PRI, che in cambio del voto avevano ricevuto delle carte prepagate con dentro 60 euro o dei contanti: tra i 30 e i 70 euro per voto a seconda della zona. Peña in un’intervista alla BBC ha negato che vi siano stati brogli o compravendita del voto adducendo l’argomento che i video o le prove per ora presentate potrebbero essere manipolate o inventate e che saranno i giudici a decidere sul da farsi.
Il Movimiento Progresista registra un buon risultato, simile a quello ottenuto nel 2006 e in generale migliore di quanto fatto dal conservatore PAN, dato che la coalizione progressista (PRD, PT e Movimiento Ciudadano) ha mantenuto il suo bastione a Città del Messico con oltre il 60% dei suffragi per il candidato Miguel Ángel Mancera, ex procuratore capo della capitale, e il PRI non ha ottenuto la maggioranza assoluta di Camera e Senato, dunque dovrà stabilire alleanze per legiferare e portare avanti riforme sostanziali, in particolare quelle costituzionali. Si configura quindi la situazione conosciuta come “gobierno dividido”, governo condiviso. Infatti, la sinistra dovrebbe avere il 29% dei seggi (140 deputati, 41 senatori), il PRI la maggioranza relativa con il 39% (232 deputati, 57 senatori), il PAN il 27% (118 deputati, 41 senatori) e Nueva Alianza, partito fantoccio legato al sindacato dei docenti (SNTE) vicino al PRI, il 5% (10 deputati, 1 senatore).
La coalizione progressista ha vinto le elezioni locali per governare negli stati di Tabasco e Morelos, mentre il “giurassico” PRI amministrerà lo Yucatan, Jalisco, Guanajuato e anche il Chiapas, in alleanza col nuovo governatore eletto a soli 32 anni per il Partito Verde (una formazione populista dominata da una sola famiglia che da sempre propone l’introduzione della pena di morte ed è stata espulsa dal gruppo internazionale dei verdi). I dinosauri dell’ex partito egemonico hanno mantenuto o esteso le maglie del loro potere in ben 21 stati o governi locali su 32. In effetti, lo stesso Peña è ascrivibile alla corrente interna del PRI conosciuta come quella “dei governatori”, cioè la più retrograda e “caudillista” (autoritaria, basta sul potere e il carisma dei capi) tra le diverse fazioni del partito.
Peña Nieto, prima conosciuto come “el copete”, cioè “il ciuffo” per la sua pettinatura, è ormai noto col soprannome di ”presidente telenovela” per la sua relazione culminata in un matrimonio sfarzoso con un’attrice di Soap Opera, Angélica Rivera “La Gaviota” (la gabbiana), famosa per la serie “Destilando amor” (distillando amore) il cui personaggio chiave era proprio una donna, “La Gaviota”, ma è anche noto per la vita “da attore”, da VIP, che conduce. Ma Peña è così mediatico anche per la morte, forse indotta dalla depressione, della sua ex moglie, Monica Pretellini, probabilmente in crisi per i due figli illegittimi del politico “latin lover” e per le sue relazioni extraconiugali.
Non si tratta comunque di fare del moralismo gratuito o del gossip, ma sono elementi forti dell’immagine che i quotidiani americani e europei stanno sottolineando per capire il personaggio. I media hanno evidenziato il carattere e l’immagine “telegenica” di Peña Nieto come un candidato che dal 2005 è sostenuto dalla potente catena televisiva TeleVisa in base a un patto di scambio pubblicitario e politico rivelato dall’inglese The Guardian e dalla rivista Proceso in Messico.
Le TV lo hanno coccolato sin dall’inizio della sua avventura come governatore del bastione del PRI: l’Estado de México, la cintura di territorio che circonda la capitale messicana. Infine, ma forse più rilevanti, ci sono i fatti della fiera internazionale del libro di Guadalajara nel novembre del 2011: Peña non era stato capace di citare tre libri che avevano segnato la sua vita e fece dei grossolani errori cercando di ricordare qualche titolo tra cui “indovinò” solo quello della Bibbia.
Secondo il New York Times questo sfoggio d’ignoranza continua tuttora.
Ma rispetto a quanto Peña ha potuto mostrare come governatore del Estado de México, questi “dettagli” socioculturali rocamboleschi, più o meno gravi che siano, impallidiscono. Tra il 2005 e il 2011 Peña è stato governatore nello stato più popoloso del paese (con 16 milioni di abitanti e 10,5 milioni di votanti), ed è ricordato per le sue grandi opere inconcluse (invece durante la campagna il suo slogan era “Peña sì che compie”), per i suoi scandali familiari – 2 figli fuori dal matrimonio malgrado la sua sbandierata vicinanza all’Opus Dei – ma soprattutto per il tristerecord dei femminicidi della sua regione, un record conteso alla settentrionale Ciudad Juárez, e la brutale repressione della polizia contro gli abitanti di Atenco nel 2006 che senza dubbio possiamo ricordare come una vera “macelleria messicana”.
Nei quartieri slum del bastione del PRI, l’Estado de México, basta poco per farsi corrompere. Sulle colline interminabili intorno all’altopiano in cui giace Mexico City, sempre coperta dallo smog e invasa da formicai umani, abbondano le case di lamiera e mattoni grigi collegate da strade polverose non asfaltate. L’emarginazione e la povertà la fanno da padrone e non c’è ideologia che tenga. Molte sezioni elettorali erano praticamente irraggiungibili o inagibili, spesso si trattava di semplici garage.
Sono stati segnalati ritardi rilevanti in molti seggi e in alcuni casi c’era propaganda di partito o striscioni di sindacati legati al PRI, come quello dei maestri, il SNTE, di fronte alle cabine. Una schiera di “facilitatori”, con spille tricolori del PRI al petto, invitavano dalle prime ore del mattino a votare per Peña Nieto con liste e quaderni in mano per accertarsi della fedeltà “al partito” da parte dei loro stessi vicini di casa e di quartiere. Gli osservatori internazionali (vedi comunicato in fondo) hanno denunciato “alterazioni del voto” e la presenza di persone “che impedivano l’ingresso ai seggi e, secondo molti testimoni, offrivano cibo e denaro in case private per comprare il voto”, come testimonia Giulia Sirigu, osservatrice elettorale dell’IFE e ricercatrice italiana a Manchester.
Gli indignati della giornata elettorale, soprattutto quelli che protestavano per la violazione del loro diritto al voto e che magari non hanno trovato più schede disponibili (erano solo 750 per legge) nei seggi speciali approntati per le persone in transito o in viaggio, si sono uniti in varie manifestazioni spontanee al movimento studentesco YoSoy132 già da domenica sera. IoSono132 è nato a maggio contro “la dittatura delle TV” in un paese dove l’80% della popolazione forma le sue opinioni politiche specchiandosi nel tubo catodico. Gli studenti s’oppongono al ritorno del vecchio PRI e a un presidente dal profilo quanto meno ipocrita e solo mediaticamente accattivante. Peña che ha due figli illegittimi ma è vicino al cattolicesimo integralista dell’Opus Dei, non legge libri ma è “telegenico” con un’immagine creata dal duopolio TeleVisa-TV Azteca. Prima e dopo la diffusione dei risultati preliminari, sabato e martedì, 30.000 universitari e cittadini hanno manifestato a Mexico City per chiedere trasparenza agli organi elettorali e protestare per le irregolarità che 3000 di loro hanno riscontrato come osservatori.
Una bandiera del movimento YoSoy132 è la memoria che parte dalla strage di stato di 330 universitari nel ’68 e arriva alla “Diaz messicana”, la tremenda repressione della polizia – 2 morti, 30 donne violentate, centinaia di feriti, processi sommari – ordinata da Peña contro la popolazione di Atenco nel 2006, quando era governatore del Estado de Mexico, la regione più popolosa che è un bastione del PRI.
Il Partido Revolución Democrática (PRD), principale forza progressista, dichiara di aver trovato irregolarità nell’81% dei seggi (circa 114mila schede) e ha chiesto di ricontare tutte le schede all’Istituto Elettorale (IFE) che invece, in base a quanto prevedono i codici elettorali ha stabilito la riapertura del 30% di queste. La percentuale è stata portata al 54,5% grazie alle segnalazioni di ulteriori irregolarità.
E’ una percentuale piuttosto alta anche se resta sempre il “tabù” del conteggio totale, fatto che provocò un grosso conflitto elettorale nel 2006 per cui il PRD, AMLO e migliaia di militanti cominciarono una resistenza civile pacifica di vari mesi occupando con un accampamento la Avenida Reforma, l’arteria principale del centro storico della capitale. Infatti, nella precedente elezione presidenziale, AMLO denunciò brogli elettorali e non fu possibile rettificare il processo e verificare i voti che avevano portato Felipe Calderón in testa con solo mezzo punto sul rivale. Prima della riforma del 2008, nata anche come conseguenza di quella protesta, non era legalmente permesso di riaprire le urne e ricontare i voti malgrado le segnalazioni di irregolarità.
Dopo questa fase che si dovrebbe concludere tra venerdì e domenica il PRD ha annunciato di volerimpugnare i risultati nelle circoscrizioni in cui ci sono stati episodi di violenza, compravendita di voti, minacce, furti di urne e sostituzioni degli scrutatori. Sarà denunciato anche lo sforamento dei tetti legali di spesa della campagna elettorale del PRI e sarà il Tribunale Federale Elettorale l’organo incaricato di dirimere queste controversie ed eventualmente annullare il voto nelle circoscrizioni giudicate irregolari entro il 6 settembre.
L’IFE ha registrato oltre 3500 irregolarità e alcuni osservatori internazionali hanno documentato “gravi anomalie, la distribuzione di carte prepagate per la spesa in cambio del voto, insicurezza e inaccessibilità dei seggi, propaganda nelle strutture adibite al voto e coercizione da parte di operatori esterni”. Domenica tre esponenti del PRD degli stati di Guerrero, Guanajuato e Nuevo León sono stati assassinati e si sono verificati atti di squadrismo – varie urne rubate e case di funzionari invase da bande armate – imputabili a militanti del PRI. Martedì, poche ore dopo la conferenza stampa di Peña in cui assicurava la sua “propensione al dialogo con l’opposizione” e “il suo impegno nella lotta alla criminalità organizzata con cui non scenderà a patti”, l’esplosione di un’autobomba uccideva due poliziotti nel settentrionale stato di Tamaulipas. Sabato un’altra bomba aveva ricordato a tutti chi comanda davvero nel Nordest causando il ferimento di 7 persone a Nuevo Laredo, città di frontiera dominata dai narcos Zetas.
Il PAN sostiene e si augura che “la legittimità di un nuovo governo si veda dalla sua disposizione a correggere i difetti che sono stati trovati, a risolvere le grandi disuguaglianze e disparità nell’equità e nell’intervento di attori esterni (per esempio le TV, il sindacato SNTE della presidentessa vitalizia e corrotta Elba Esther Gordillo, i presidenti e gli ex presidenti, i poteri furti, ecc….) prima e dopo le elezioni”. Restano forti dubbi. E’ possibile credere che, se il processo elettorale sarà convalidato come pare stia succedendo, il PRI possa e voglia risolvere questi problemi della democrazia in Messico? Per esempio, sarà possibile sanzionare il superamento dei limiti di spesa per le campagne elettorali in modo contundente fino ad arrivare all’annullamento totale o parziale del voto? Chi lo voterebbe? Quelli che sempre se ne approfittano? Ho i miei dubbi.
Una nota finale per chi ama il folclore e segue le vicende dei moderni far west americani. L’ex presidente vaccaro (“ranchero”) Vicente Fox del PAN, quello che “governò” il Messico dal 2000 al 2006 e che aveva promesso di risolvere il conflitto in Chiapas in 10 minuti, ha sostenuto Peña Nieto durante la campagna elettorale ed è stato espulso dal suo partito in queste ore per la sua condotta da voltagabbana dell’ultimo minuto e per aver abbandonato la candidata Josefina Vázquez Mota al suo triste destino. Non che ci cambi la vita, ma la comicità del nostro meritava una chiusura impietosa.
Dichiarazione finale degli osservatori stranieri alle elezioni messicane del 2012
I visitanti stranieri, dovutamente accreditati presso l’IFE, rappresentanti di differenti organizzazioni politiche e sociali dell’America Latina e dell’Europa, osservatori del processo elettorale messicano del primo luglio 2012, in seguito alle visite che abbiamo realizzato presso diversi seggi elettorali tanto a Città del Messico come in altri territori quali l’Estado de México, Puebla e Tlaxcala, dichiariamo quanto segue:
Il processo elettorale deve approfondire e consolidare l’istituzionalizzazione della democrazia per frenare la strategia dei settori del potere economico, nazionali e internazionali, che permettono l’appropriazione del controllo dello Stato.
I grandi mass media hanno giocato un ruolo importante durante la campagna, nelle giornate di riflessione e nella stessa giornata di domenica, in cui non hanno svolto un ruolo puramente informativo ma anche di induzione al voto per un partito. Le autorità elettorali avrebbero dovuto svolgere il ruolo di garanti dell’uguaglianza di opportunità di tutte le formazioni politiche che partecipavano alle elezioni.
Consideriamo che è un’interferenza nella giornata elettorale l’emissione di exit poll mentre ancora si stanno sviluppando le votazioni e che queste siano utilizzate in modo tendenzioso oltre a costituire un’infrazione alla legislazione in vigore. L’uso di queste informazioni non ufficiali influisce sull’elettorato che non ha ancora fatto uso del suo diritto al voto.
Durante la visita tra le urne la popolazione ci ha segnalato anomalie, che in alcuni casi abbiamo potuto osservare, come per esempio le strutture inadeguate, il ritardo nell’allestimento e nell’apertura delle stesse, la presenza di propaganda elettorale dentro le strutture dei seggi elettorali, oltre alla presenza di persone non autorizzate con simboli di partito nei seggi, le quali spingevano ad un voto non libero, e anche di persone che distribuivano risorse economiche in denaro e in specie con il fine di condizionare il voto verso determinati partiti.
Alcune dichiarazioni istituzionali sono state irresponsabili e consideriamo che sono servite per la convalida come virtuale vincitore di uno dei candidati e queste dichiarazioni sono servite per consolidare mediaticamente a livello internazionale dei dati provvisori non ufficiali.
Ci ha colpito la scarsa presenza nelle zone dei seggi per il voto di forze e corpi di sicurezza i quali avrebbero potuto evitare la realizzazione di certi atti violenti, come si sono prodotti effettivamente in alcune zone del territorio nazionale.
Vediamo con frustrazione il fatto che per i risultati elettorali sicuri si debbano attendere tre giorni per essere resi noti, per cui consideriamo che si dovrebbero migliorare i sistemi per il processo e la trasmissione dei dati che rispettino i protocolli di sicurezza in modo fluido, per garantire l’affidabilità dei medesimi.
Speriamo che queste considerazioni possano contribuire a rafforzare il processo elettorale messicano.
(Elaborato da un gruppo di osservatori elettorali internazionali, accreditati presso l’Istituto Federale Elettorale-IFE il 2 luglio 2012)
Link a dichiarazione in spagnolo e italiano: QUI
Album fotografico Ecatepec Estado de México (utilizzabile liberamente): QUI
Foto schede di cittadini e voti discrepanti contabilizzati dal sistema di computo preliminare: QUI
Manifestazione YoSoy132 di sabato 30 giugno, vigilia elettorale: QUI
Anomalie denunciate da Alianza Civica: QUI
Compravendita con carte Soriana QUI
Intervista-smentita di Peña Nieto alla BBC: QUI