Elezioni Nicaragua: rieletto Daniel Ortega, l’opposizione disconosce il verdetto

Creato il 08 novembre 2011 da Eldorado

Lento –estremamente lento-, ma inequivocabile, lo scrutinio in Nicaragua ha rispettato le indicazioni della vigilia, proclamando la rielezione di Daniel Ortega a presidente.

Il sandinismo ha vinto con facilità in tutti i dipartimenti del paese (le uniche circoscrizioni dove c’è stato un testa a testa sono state quelle di Chontales e di Boaco), dimostrando come la macchina organizzativa del partito sia diventata con gli anni perfetta. Di fronte ai dati eloquenti –Ortega al 62%, Gadea fermo al 30%- risultano così irrilevanti le denunce di alcuni settori e dei partiti di opposizione su brogli e irregolarità (il quotidiano conservatore ¨La Prensa¨ ha annunciato nella sua pagina web, per esempio, che i risultati non sono stati riconosciuti dall’opposizione per le anomalie riscontrate da organismi osservatori indipendenti). A differenza di quelle del 2006, in cui il fronte liberale –spaccato- aveva fatto registrare la maggioranza, questa volta il sandinismo ha ottenuto praticamente un plebiscito, premiando la formula orteguista.

66 anni, un passato da rivoluzionario che tutti conosciamo, Ortega –da buon camaleonte- è andato con il tempo ripulendo la sua immagine di guastatore radicale della politica centroamericana. Il grande cambiamento venne proprio in occasione delle elezioni di cinque anni fa. Dismessi i panni kaki militari, Ortega optò per un’immagine light: camicia rosa, proclami universali e dal sapore populista (el pueblo presidente), comizi da palchi adornati da fiori, un’alleanza strategica con il nemico di sempre, monsignor Obando y Bravo, per rincuorare e persuadere l’anima cattolica del Nicaragua. Il messaggio venne recepito dall’elettorato ed Ortega riottenne l’agognata presidenza che gli era scivolata via nel 1990 e che non aveva saputo riconquistare per più di quindici anni.

La strategia di Ortega da allora è stata chiara per tutti. Riottenuto il potere, la disposizione è quella di mantenerlo per sempre. I sandinisti –ed in special modo gli orteguisti- hanno occupato tutti i posti chiave del potere, dalla magistratura al tribunale elettorale, dalle giunte comunali a quelle delle aziende pubbliche. Quella sandinista è una macchina imparabile e implacabile e che, nella sua apparente complessità –solo apparente perchè alla fine tutto fa riferimento a Ortega e alla di lui signora, la Chayo Murillo- è l’unico ente che funziona a dovere in Nicaragua, patria dell’improvvisazione e dell’informalità.  

Nonostante gli strali dell’opposizione e dei conservatori di Washington (ma con che autorità morale può parlare chi ha messo in atto il più grande broglio elettorale di tutti i tempi?) la vittoria di Ortega è però la vittoria di quella piccola parte della comunità che si rifiuta di essere inglobata all’uniforme massa di un mondo disegnato ad uso e consumo dei grandi gruppi di potere. La virtù di Ortega sta nel non accettare questo stato di cose e di aver sviluppato un’arte dialettica che gli permette di barcamenarsi tra le istruzioni del Fondo monetario internazionale, le magagne di un Trattato di libero commercio con gli Stati Uniti e le responsabilità economiche dettate dall’Alba.

Il difetto maggiore, e che non gli possiamo perdonare, è invece quello di aver creato un elefantiaco apparato burocratico che assorbe tutto quel denaro, quei fondi e quelle iniziative che potrebbero –se usate altrimenti- risollevare il popolo nicaraguense dalla sua povertà endemica. Il sandinismo di Ortega, che si avvia ad altri cinque anni di governo, ha ormai le sue chiare responsabilità di questa situazione. Invece di debellarli, l’apparato partitico ha amplificato corruzione e nepotismo, ripercorrendo così gli stessi errori che furono di Somoza e dei caudillos liberali degli anni Novanta. Lo Stato –formato da sandinisti- premia chi sta con i sandinisti, ma non gli altri nicaraguensi, evitando così di dare una soluzione d’insieme: si gira attorno ai problemi, ma non si risolvono.

I grandi mali del Nicaragua non sono stati debellati e difficilmente lo saranno grazie al sandinismo. C’è qualcosa che non funziona in uno Stato dove l’emigrazione viene agevolata perchè al governo rendono di più le rimesse provenienti dall’estero piuttosto di creare nuovi posti di lavori. Come non c’è niente di buono nella questione delle terre, che ha beneficiato solo gli alti dirigenti di partito mentre le fertili campagne continuano nel loro storico abbandono. Non ci sono più scuse. Oggi non ci sono più embarghi: il Nicaragua riceve milionate dal Venezuela, così come continua ad ottenere (anche se ridimensionati) i prestiti dall’Unione Europea e lauti finanziamenti dai centri bancari internazionali. Risultati evidenti, però non se ne vedono.

Tornando ai risultati della giornata di domenica, lo spoglio delle schede è praticamente terminato 24 ore dopo la chiusura delle urne. La ratifica della vittoria di Ortega si evince da questi numeri: Ortega e l’Fsln al 62.56%; Fabio Gadea e i liberali al 30,87%; staccatissimo Alemán, che ha registrato il 6,01% delle preferenze. Il Congresso é saldamente in mano ai sandinisti che, stando ai dati ancora incompleti, dovrebbero eleggere almeno novanta deputati. Ancora ieri sera, Gadea disconosceva la vittoria di Ortega, valendosi del parere di Transparencia Internacional secondo cui il processo elettorale ¨non ha compiuto i requisiti minimi universali¨. I dati completi si possono consultare nella pagina del Tribunale elettorale nicaraguense: http://www.cse.gob.ni/md5/res1dipparl.php


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