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Elezioni presidenziali in Brasile: scenari in vista del secondo turno

Creato il 17 ottobre 2014 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
Elezioni presidenziali in Brasile: scenari in vista del secondo turno

Che le elezioni presidenziali del 5 ottobre scorso siano state le più combattute del Brasile democratico lo confermano i risultati: la candidata del PT Dilma Rousseff non è riuscita ad evitare il ballottaggio col suo 41,5% delle preferenze, mentre lo guadagna con il 33,6% il moderato Aècio Neves (PSDB), dato molto indietro nei sondaggi preelettorali anche rispetto all’altra candidata Marina Silva (PSB), subentrata nell’agone in piena campagna elettorale a causa della scomparsa prematura di Edoardo Campos, che poi si è fermata al 21,3% dei consensi. Il risultato della Rousseff in questo 1° turno è il peggior risultato del PT dal 2002. Ciò nonostante il PT si è assicurato per la prima volta il Governatore di uno Stato grande come quello di Minas Gerais: sarà Fernando Pimentel (52% dei voti); il PSDB si conferma, invece, a San Paolo con Geraldo Alckmin (57% dei voti); lo Stato di Rio de Janeiro va al ballottaggio: il candidato del PMDB – partito alleato di governo del PT – Luiz Fernando Pezao col 40% dei voti si confronterà col pastore evangelico del PRB (Repubblicano) Marcelo Crivela che ha ottenuto il 20%.

Secondo il primo sondaggio IBOPE fatto dopo il voto, l’8 ottobre scorso, se si fosse andati a votare il giorno dopo (il 9 ottobre) Aècio Neves avrebbe conquistato il 51% e Dilma Rousseff il 49%. Due elettori su tre tra quelli che hanno votato Marina Silva al 1° turno hanno dichiarato che voterebbero Neves al 2°; mentre soltanto il 18% di loro voterebbe la Rousseff. Dal 1° turno emerge una chiara divisione dell’elettorato in due blocchi: il candidato del PSDB ha i suoi risultati migliori nelle Regioni Sud e Sud est del paese (dov’è ancora in testa sulla Rousseff per i sondaggi, rispettivamente 61% a 33% e 48% a 38% dei voti totali). Nel Nord/ Centro-Ovest c’è una sostanziale parità tra i due competitori. Mentre la candidata del PT è ancora in testa nel Nord est (59% a 32%). L’elettorato dei 2 candidati è ben identificabile: il 63% degli elettori di Neves percepisce oltre 5 salari minimi al mese; mentre soltanto il 29% di questa categoria vota la Rousseff. La percentuale s’inverte tra chi guadagna fino ad 1 salario minimo al mese: il 58% di loro vota Dilma; il 33% vota Aècio. Inoltre, mentre Dilma ha una presa maggiore sull’elettorato cattolico (46% contro il 44% di Aècio), il suo rivale lo ha sull’elettorato evangelico (49% contro il 39% di Dilma).

La notizia importante in vista del 2° turno del 26 ottobre prossimo Aècio Neves l’ha ricevuta l’8 ottobre scorso, quando ha incassato l’appoggio da parte del PSB ed anche quello di Marina Silva, ma non del suo Movimento (la Rede). Nonostante qualche deputato del PSB, come l’autorevole Luiza Erundina, ex Prefetto di San Paolo e sostenitrice di tante battaglie per la difesa dei diritti umani fondamentali, si sia dichiarato contrario all’appoggio incondizionato al PSDB di Neves – che romperebbe la polarizzazione tra PSDB e PT – preferendo semmai dare indicazione di libertà di voto ai propri elettori, l’importante dote di voti della Silva, secondo le sue stesse dichiarazioni, potrà essere convogliata sul candidato moderato. L’appoggio è stato molto gradito da Neves che, per accattivarsi anche quella parte di elettorato, ha dicharato di voler portare avanti l’eredità di Edoardo Campos in tutto il Brasile.

Ora c’è da chiedersi, oltre alle prospettive interne che potranno aprirsi all’esito delle presidenziali in Brasile, anche quali saranno le prospettive nei rapporti con i Paesi Brics, in particolare nelle relazioni con la Russia, considerato il peso del Brasile in questo aggregato geopolitico, e cosa potrebbe cambiare negli equilibri mondiali. Sicuramente non ci si aspettava che al ballottaggio potesse arrivare Aècio Neves, visto che tutti i sondaggi davano come contendenti al 2° turno le due leader donna, Marina Silva e la Rousseff. Nel contesto internazionale il partito conservatore di Aècio Neves qualche cambiamento potrebbe produrlo, il che avrebbe delle ripercussioni a livello geopolitico e non solo all’interno dei Brics. Il Brasile ha un ruolo preminente in seno ai BRICS; ha stretto accordi forti con la Russia, partner privilegiato in questi nuovi equilibri che vanno sempre più spostandosi verso il multipolarismo. Questi nuovi aggregati geopolitici, i BRICS in particolare, stanno mettendo in discussione il predominio dei Paesi occidentali, in primis quello degli Stati Uniti. Di recente il Brasile della Rousseff si è fatto promotore di molte iniziative, tra le quali quella di fondare la banca dei Brics con l’obiettivo ambizioso di superare il dollaro come valuta di riserva.

Se vincesse la Rousseff questo cammino non s’interromperebbe ed anzi si rafforzerebbero le prospettive di ampliamento degli obiettivi, che, allo stato, dovrebbero cominciare ad essere realizzati a partire dal 2015-2016. Chi rappresenterà il Brasile all’interno dei Brics dovrà tenere conto di quest’impegno. Ma gli intenti saranno diversi: il Brasile di Dilma Rousseff ha cercato di muoversi all’interno del Brics in funzione antistatunitense, stringendo accordi commerciali con la Russia di Putin. Si pensi all’accordo di cooperazione siglato tra Brasile e Russia nel luglio scorso nei settori della scienza, della tecnologia e dell’innovazione energetica. Ad agosto, poi, il governo brasiliano, approfittando della crisi ucraina, ha ottenuto il via libera di Mosca ad incrementare le esportazioni di carni verso la Russia, poiché Putin ha bloccato l’export agroalimentare nei confronti degli Stati Uniti e dell’Europa nella querelle sull’Ucraina. Il Brasile è diventato un Paese che può fare da contraltare ai paesi occidentali per avere scambi commerciali, scambi che prima si sarebbero potuti concludere soltanto con quei Paesi, le cui sanzioni, oggi, fanno meno paura. Negli ultimi 12 anni è emerso in maniera ineluttabile che il Brasile, prima quello di Lula e poi quello di Dilma Rousseff, intende porsi come player globale nei confronti dei Paesi che contano sullo scacchiere internazionale: per farlo ha stretto accordi con i paesi Brics, in America Latina e con la Cina; nell’intento di non rinnegare le proprie radici la politica d’investimenti esteri brasiliani ha avuto particolare riguardo anche dell’Africa, cercando di promuovere lo sviluppo in un’area del mondo in cui si sono spostati molti interessi della Cina. Il Brasile di Aècio Neves e del suo partito moderato e filo statunitense, forse anche disponibile a sottoscrivere accordi bilaterali con gli Stati Uniti, sarebbe certamente diverso da quello che conosciamo oggi ed il percorso intrapreso dal PT probabilmente sarebbe messo in discussione.


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