Il suono delle gocce, già cantato più che efficaciemente da D'Annunzio, picchia sulla terra gelida, proprio come una madre accarezza il suo neonato per farlo addormentare. Amo la pioggia. La pioggia vera, ambivalente, duplice: quella che nutre e che spazza via, quella che minuziosamente netta le foglie polverose e che stacca senza alcuna inutile pietà quelle avvizzite, secche.
Amo la pioggia. Quell'umido profumo che lascia in ogni canto e che risveglia la forza e la ragione in ognuno che la fissi in volto, senza remore, senza paura. Il sole è invadente e, a tratti, perfino malizioso: non si lascia fissare in viso, sfugge, desidera soltanto abbagliare, ovvero togliere la vista, perchè forse, al di là di quella massa di fuoco, poco resta se nessuno l'osserva. La pioggia, invece, parla. Basta un ombrello per far sì che essa scenda tutto intorno, lasciando strisce della sua presenza, come il pudico visitatore che scrive un biglietto e poi s'occulta, attendendo con pazienza.
Ma la pioggia è anche donna. Donna vera. Viscerale nelle reazioni, talvolta esagerata. Urla, scende giù con passione, ammanta del suo orgoglio ogni granello di polvere, esiste, si manifesta; con dedizione, semplicità, essa mostra d'essere forte, senza che nessun'arma venga sguainata. In questa forza, io mi rispecchio, come se milioni di minuscoli me apparissero riflessi e riverbessaro impazziti verso il profondo della mia esistenza. Non uno sterile manto di sole, ma un caldissimo e pudico abbraccio che, di sè, lascia tracce invisibili.
Amo la pioggia. E la tempesta. E il cielo carico di vita.
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