Elsa morante e “la storia”

Creato il 23 dicembre 2010 da Viadellebelledonne

 

Ricorre quest’anno il venticinquesimo anniversario della morte di Elsa Morante, una scrittrice che ebbe in vita un notevole successo letterario, ma la cui figura viene poco ricordata. Eppure fu una delle narratrici più interessanti del secondo Novecento, autrice, oltre che di poesie e di scritti giornalistici, di romanzi che conseguirono i più importanti premi letterari, da Menzogna e Sortilegio, a cui fu assegnato il Premio Viareggio, a L’isola di Arturo, risultato vincitore del Premio Strega. Scrittrice dalla corposa produzione e donna dalle sofferte problematiche esistenziali, Elsa Morante visse una giovinezza travagliata, una maturità ricca di esperienze positive e di affermazione presso l’establishment culturale italiano ed una vecchiaia tormentata dalla malattia e dalla quasi indigenza, tanto da riuscire, per interessamento di Alberto Moravia, ad ottenere l’assegno Bacchelli. Nata a Roma nel 1912 dalla relazione di una maestra ebrea, Irma Poggibonsi, e di un impiegato delle Poste, Francesco Lo Monaco, viene riconosciuta da Augusto Morante, sorvegliante in un istituto di correzione giovanile, in casa del quale cresce. Concluso il liceo, lascia la famiglia e si stabilisce per conto proprio, mantenendosi con lezioni private e redazioni di tesi di laurea.

Ad un certo punto, però, le ristrettezze economiche le impediscono di continuare gli studi alla Facoltà di Lettere. Inizia a scrivere giovanissima e già nel 1933, grazie all’appoggio del critico letterario Francesco Bruno, pubblica poesie e racconti su riviste e giornali quali il Corriere dei piccoli e il Meridiano di Roma; nel 1935 comincia a collaborare con il settimanale Oggi. Nel 1936 incontra lo scrittore Alberto Moravia che sposa nel 1941. E’ un’unione che si rivelerà problematica: dopo un periodo in cui la coppia condivide sia i disagi della guerra, a causa dell’antifascismo di Moravia, sia, in seguito, la vita mondana e culturale dell’ambiente romano, il rapporto fra i due si svolge in un alternarsi di momenti di grande comunicazione e di periodi di malessere e di distacco. Il carattere della Morante è ambivalente, il suo desiderio di protezione e di affetto si scontra con la sua necessità di sentirsi libera; desidera la maternità ed allo stesso tempo la rifiuta, per poi rimpiangerne la possibilità perduta. Infine lascia la casa coniugale e si trasferisce in un appartamento in via del Babuino, continuando tuttavia a frequentare Moravia e a viaggiare con lui. Dopo il 1962, anno in cui si separa definitivamente dal marito, comincia per la scrittrice un triste periodo in cui avverte l’angoscia della morte e soprattutto la paura della vecchiaia. La scomparsa dell’amico americano Bill Morrow, con il quale aveva avuto una relazione, produce in lei uno stato di ossessione che la tormenterà fino alla fine dei suoi giorni. Trascorre gli ultimi anni a letto, impedita nella deambulazione a causa di una operazione per la rottura di un femore, e nel 1983 tenta di suicidarsi con il gas. Salvata dalla domestica, viene ricoverata in una clinica romana dove, dopo un secondo intervento chirurgico, muore d’infarto il 25 novembre del 1985. Il suo ultimo romanzo, Aracoeli, iniziato nel 1976, viene pubblicato nel 1982.

Dal 1971 al 1973 Elsa Morante si dedica alla stesura di quella che sarà la sua più popolare e discussa opera: La Storia, che verrà pubblicata nel 1974, in edizione economica per volontà dell’autrice. Al suo apparire il romanzo, di seicento e più pagine, suscita entusiasmo e polemiche, alla popolarità che guadagna presso i lettori si oppone la riserva di una parte della critica. Scrivere un’opera di narrativa dall’impianto ottocentesco, quale è La Storia, in un tempo in cui l’eco delle avanguardie non si è del tutto dileguata e poeti e scrittori sperimentano tecniche innovative di scrittura, non può non far discutere. Fra coloro che ne sono entusiasti vi è Natalia Ginziburg, fra i polemici Italo Calvino e fra coloro decisamente ostili all’opera morantiana spicca Enzo Siciliano. L’animosità di questi ultimi, generata da ragioni ideologiche, si manifesta con la denigrazione del romanzo in quanto ritenuto narrativamente esuberante, dagli incerti esiti artistici e dalla decisa vena populista. Tuttavia non ne vengono negati i valori positivi, come il rispetto per l’essere umano e la pietas verso la categoria degli umili, gli sconfitti della vita, quegli “ultimi” di evangelica memoria.

Il romanzo copre un arco di tempo che va dal 1941 al 1947 e racconta la storia della maestra Ida Ramundo, una vedova ebrea che viene stuprata da un giovane soldato tedesco. Da quell’atto di violenza nasce Useppe, il figlio che diviene l’unica ragione di vita di Ida, donna mansueta e rassegnata, mater dolorosa che arriva anche a rubare pur di provvedere al nutrimento del piccolo, a sua volta creatura gracile cresciuta fra gli stenti della guerra. La storia di queste due esistenze, anime semplici calate nel groviglio dannato di un’era di violenza e di morte, è il paradigma della follia dei potenti e della devastazione fisica e psicologica perpetrata a danno dei soggetti più deboli. Il recondito fine di quest’opera sta nella concezione di un’ideologia che condanna la “Storia” come “uno scandalo che dura da diecimila anni”, un ciclo immutabile che non si sviluppa secondo le leggi del progresso, ma che si accanisce sui più deboli attraverso ingiustizie e follie distruttive. Al pregio narrativo dell’opera va associato il valore aggiunto di una puntuale cronologia degli eventi storici nazionali e internazionali del secolo scorso, dall’inizio del Novecento fino al 1967. Ogni capitolo è infatti preceduto da un quadro di ordine temporale nel quale sono elencati per data gli avvenimenti coevi al periodo narrato. E’, questo elemento, una cifra in più che assegna all’opera l’importanza del documento storico.

Anna Maria Bonfiglio



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