Nel gennaio del 1923 con il Regio Decreto del 11/01/1923 fu istituito il secondo Parco Nazionale Italiano: il Parco Nazionale d'Abruzzo. L'orso marsicano fu la specie da salvaguardare e divenne il simbolo del parco: l'area protetta più conosciuta d'Italia. Proprio l'orso marsicano da settembre 2007 è oggetto di un attacco indiscriminato da parte di anonimi balordi: il 9 maggio scorso – di fatti – è stato ritrovato il quarto esemplare di orso marsicano morto. Questa volta una femmina di 7 anni, del peso di 80 kg senza radiocollare. Questa, probabilmente, è la pagina più nera della storia del parco, ancor di più rispetto alla decisione da parte del fascismo di sopprimere d'autorità l'ente autonomo nel 1933 abolendo contestualmente il parco, poiché in contrasto con alcune decisioni di salvaguardia ambientale che ostacolavano i progetti del regime sul territorio. Nel 2008 è difficile capire e giustificare un atto come l'avvelenamento di una specie protetta, simbolo di una comunità. Certo che nella regione più protetta d'Italia il fatto che si siano verificati tali episodi ci fa riflettere profondamente su due piani differenti:
1) – quello che è diventato il sistema delle aree protette e dei parchi nazionali in Italia è sicuramente qualcosa di estremamente anomalo rispetto agli altri paesi aderenti all'I.U.C.N. (International Union for the Conservation of Nature): un coacervo di interessi politici e personali dove avvengono becere spartizioni di poltrone per far accomodare politici “trombati” e personaggi da accontentare, che non hanno trovato altre collocazioni. Tale situazione ha portato ad una pessima gestione in molti parchi e ha causato guerre intestine per accaparrarsi i fondi governativi e comunitari oltre che i posti di lavoro. Tutto ciò, inoltre, ha creato una distanza dalle esigenze delle comunità locali che abitano il parco. Da ciò è nata una dissociazione concettuale e identitaria tra l'Ente Parco e i cittadini, che hanno visto in passato e continuano a vedere nel presente il parco come portatore di vincoli, sentendosi espropriati del loro territorio e dei benefici che ricavavano da essa. Venendo, così, meno quel legame sacro con la terra, il cittadino si è disaffezionato ad esso e anziché proteggerlo e conservarlo, come faceva in passato, cogliendone i frutti e facendone tesoro, tende a distruggerlo, privandolo del suo humus, della sua identità, deturpandolo e uccidendone il simbolo, il totem intoccabile, una sorta di parricidio freudiano. Com'è successo nel Parco Nazionale del Pollino dove gli abitanti illusi per anni dalle “chiacchiere” su quello che doveva essere il “volano” di sviluppo per una delle aree montane più depresse d'Italia ha iniziato a bruciare i rari e preziosissimi esemplari centanari di Pino Loricato. Certamente allora si trattava di balordi come oggi in Abruzzo, ma se vogliamo indagare le cause di tale fenomeno sociale possiamo individuarle nella disaffezione della cittadinanza all'idea di parco deformata e mutata negli anni di abulia e paralisi amministrativa che hanno vissuto quasi tutti i nostri parchi nazionali;
2) - tutto ciò conferma e avvalora la tesi sulla conservazione e tutela della natura, che si sostanzia in due punti fondamentali:
- rivisitare la legislazione sulle aree protette, ritenendo pericoloso il proliferare di Parchi e di vincoli perché ciò potrebbe omologare l’intero territorio svilendo il fondamento, ovvero la conservazione di biodiversità di alcune aree di particolare pregio;
- valorizzare l’esistente: quasi il 20% del territorio nazionale italiano è protetto sulla carta, ma la realtà è cosa ben diversa;
Tutela della biodiversità – quindi – significa considerare i parchi e le aree protette come i principali baluardi di questa difesa, ma anche come sistemi di organizzazione sociale, come progetto locale per lo sviluppo sostenibile e durevole di un territorio, come prospettiva del locale. Bisogna opporsi alla proliferazione sistematica e puntuale delle aree protette: negli ultimi anni il territorio protetto ha raggiunto il 20% del territorio nazionale. Il 20% è una fetta consistente e i problemi di attuazione delle politiche ambientali si riversano in quasi tutto quel 20%: abbiamo parchi nazionali e provinciali, zone SIC di interesse comunitario, ZPS (Zone a Protezione Speciale), Oasi 2000, che versano in condizioni a dir poco disagevoli. Parchi istituiti da più di vent'anni che ancora non sono stati dotati di un Piano del Parco, né di un Piano Economico-finanziario: gli unici due strumenti che danno all'Ente Parco autonomia e potere di agire sul territorio. Se ancora siamo a questo punto ci sembra davvero lontano e utopico parlare della valorizzazione del progetto A.P.E.(Appennino Parco d'Europa), idea grandiosa e formidabile, ma che, purtroppo, nella realtà resta solo un sogno; in special modo quando le autorità non riescono nemmeno a monitorare il territorio e a proteggere le specie in via d'estinzione, come sta succedendo con l'orso marsicano in Abruzzo.
Per dirla con Giacomini e Romani: “Il parco è un modo di amministrare il territorio” e “rappresenta un'innovazione istituzionale che punta a introdurre in un determinato territorio nuove regole indirizzate alla salvaguardia ambientale quanto alla promozione sociale” (Perna).