Emilio Fede scende in politica

Creato il 25 gennaio 2011 da Pennywise

Una democrazia è una cosa seria. Gli italiani riescono a farne un circo di saltimbanchi, come riassume bene il New York Times che sabato scorso ha definito la vita politica del nostro paese come una soap opera surreale nella quale Berlusconi recita il ruolo dell’attore protagonista.

Non poteva essere diversamente: il premier è l’impresario del circo Barnoon più visto ed applaudito, è un cantastorie al tempo stesso proprietario dei mandolini, del teatro, dei manifesti pubblicitari, dei salotti dove discutono i critici e dei ristoranti dove tutti sono invitati a cena, dopo essersi esibiti nella farsa delle contrapposizioni finte come le battute dei commedianti, è l’importatore del Grande Fratello, di Amici, di Uomini e Donne, è il burattinaio che tira le fila degli sceneggiatori, selezionati accuratamente nel corso di 30 lunghissimi anni per tessere le storie più incredibili e illusorie, deformando a poco a poco, ma inesorabilmente, la percezione delle cose, confondendo nello spettatore finzione e realtà in un sapiente e machiavellico gioco di sostituzioni che ha portato tutti nel paese delle meraviglie, dove un cappellaio matto non stupisce più nessuno e dove uno stregatto che appare e scompare a piacimento, come una ineffabile verità, sembra a tutti una cosa normale. Un uomo abituato a rappresentare, invece che a mostrare, a comprare invece che a convincere, a dominare invece che a collaborare. Un uomo abituato a misurare il successo sulle vendite dei suoi libri, delle sue fiction, dei suoi film, sui risultati degli imbonitori delle televendite, un piazzista di spazi pubblicitari, e cosa c’è di più finto di uno spot televisivo? In una parola, un uomo che ha costruito il suo impero sull’arte di raccontare storie.

Ma la vita non è un libro fantasy. I cavalli alati, i cieli stellati illuminati da lune multiple, i maghi, gli elfi e le fate libellula non esistono se non nelle pieghe dell’immaginazione letteraria, mentre in luogo degli uomini del fare, dei presidenti operai, del buon governo e dei sorrisi a reti unificate, oltre i fondali degli studi televisivi, oltre la portata delle luci dei faretti, là dove gli obiettivi sfuocano e sgranano le immagini, la realtà riproduce se stessa svolgendosi in una scena unica, in presa diretta, che fotografa un desolante vuoto di di idee, un agghiacciante paesaggio di valori immobili, congelati, intrappolati sotto a spessi strati di ghiaccio come dinosauri ibernati nel momento in cui stavano per spiccare un salto.

La realtà è fatta di senatori della Repubblica, come Marcello Dell’Utri, che dichiarano pubblicamente di essere entrati in politica senza null’altro ideale se non quello di sfuggire alla persecuzione che si sarebbe perpetrata nei loro confronti. Percepiscono senza alcun pudore stipendi dorati, benefits, pensioni da favola, si spostano con l’auto blu e con i trasporti aerei, a spese della collettività, ma soprattutto non apportano alcun contributo al pensiero politico o all’azione di governo. Sono metastasi che proliferano all’infinito, ingrandendo se stesse e paralizzando i gangli nevralgici dello Stato. Sono un morbo, come l’Alzheimer, che colpisce i centri funzionali del Parlamento e li inattiva, inesorabilmente, ad uno ad uno, restituendo un encefalogramma piatto dove a malapena si scorge qualche sparuto segnale di vita.

La realtà è fatta di faccendieri che usano lo stato come un bancomat, lavorando nell’ombra, intessendo rapporti di stampo piduista, oliando gli ingranaggi della corruzione, architettando truffe allo scopo di spartirsi la torta dei grandi appalti, come la cricca per la quale sono indagati Verdini, Dell’Utri, Carboni. La realtà è fatta di cognati, da quello di Bertolaso a quello di Fini. La realtà è fatta di funerali di Stato, indetti in seguito alla morte di giovani soldati caduti per una guerra inspiegabile e bigiati perché la notte prima, dopo le rituali dichiarazioni di cordoglio, ci si è lanciati nell’organizzazione di uno sfrenato quanto estenuante Bunga Bunga che ha finito per protrarsi fino a notte fonda.

La realtà è fatta di cortigiani che per sfuggire alle indagini giudiziarie che li riguardano non si fanno scrupolo di usare il Parlamento come una roccaforte dorata, come un’isola caraibica dove passare in contumacia gli ultimi anni di una vita dissoluta, incurante di qualsiasi deontologia professionale, di qualsiasi etica individuale. Complici, gregari che hanno dolosamente innescato, favorito e permesso, incuranti del bene comune e della loro stessa dignità, il disfacimento politico, culturale e morale di un paese ormai drogato, svuotato della sua volontà, in balia della decadenza, popolato da eserciti di topi con le orecchie da asino condotti in cima alla rupe e poi lasciati cadere, sulle note di un pifferaio magico che suona ed intrattiene le loro coscienze, mentre li guarda precipitare nel vuoto.

Emilio Fede, nel corso di un’intervista realizzata da Lucia Annunziata, ha dichiarato di avere ricevuto una proposta per scendere in politica. No, non è per sfuggire alle indagini della magistratura e ad una eventuale condanna: è solo che Marcello Dell’Utri si annoia molto a non fare niente tutto il giorno. Così, almeno, potranno giocare a carte tra i banchi del Senato, mentre le inchieste si infrangono contro gli scogli delle giunte per l’autorizzazione a procedere e mentre il resto del paese sprofonda, trascinando con sé chi non ha saputo opporsi alla prepotenza di questi strafottenti insozzatori di ideali, di questi vandali istituzionali, di questi trenta tiranni cui è stato concesso di sostenere qualunque menzogna, di fare proseliti, di creare religioni delle quali proclamarsi gran sacerdoti e divinità assolute, di reclutare sudditi per i loro feudi clandestini, di fare il bello e il cattivo tempo, di ridersela dalla sommità di quella torre d’avorio attraverso la quale hanno esercitato con maestria l’arte del dividere le genti e del confondere le lingue, avverando le antiche profezie bibliche, erigendo migliaia di Torri di Babele, chiamate ripetitori, al cospetto delle quali i figli vanno in disaccordo con in padri, i fratelli non si capiscono più, i vicini di casa cessano di rivolgersi la parola e le opinioni oscillano impazzite come bussole nel mezzo di una tempesta magnetica.

Ristabiliamo un principio semplice ma rivoluzionario: la politica è il tempio dello Stato, e per accedervi bisogna dimostrare di avere delle idee forti e valide, di avere delle capacità comprovate, di essere specchiati, di saper tenere la schiena dritta senza cedere ad interessi diversi che non siano quelli del paese. Non è possibile fuggire in Parlamento come ci si rifugia in chiesa per non essere arrestati.

Fermate un tossicodipendente televisivo per strada, uno a testa, offritegli un cicchettino e fateglielo capire. Prima delle elezioni.

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