“La tua effigie/ nell’opale iridescente/ splende/ s’aureola languida/ nel tenue crepuscolo./ Solo un baluginio/ nel buio di brace/ rimane”. Da “Effigie”
Dopo “Arabesques”, “Opalescenze” e “La cenere del tempo” torna l’autrice vicentina Giovanna Fracassi con una quarta silloge poetica, edita dalla medesima casa editrice, Rupe Mutevole Edizioni. “Emma” con sottotitolo “Alle porte della solitudine” è stato pubblicato nel gennaio 2015 nella collana editoriale Trasfigurazioni in collaborazione con Oubliette Magazine.
Senza dubbio una mente in continuo divenire, quella di Giovanna Fracassi, che non si ferma e anzi, offre al lettore una produzione copiosa.
Fin dai primi versi, si comprende che protagonista assoluta sia la solitudine, intesa non tanto in senso peculiare, bensì universale, in quanto caratteristica che accomuna l’essere umano. Brevi istanti di condivisione di cui si compone la vita, non evitano di percepire in maniera assordante questo sentimento. Vi è però un senso di speranza, che ci dice che niente è perduto, quell’”anelito all’infinito”, come lo chiama l’autrice, attraverso cui si riesce a dare un senso al dolore e alla mancanza. Nessuno nasce invano, ed ecco quindi che la lirica si trasforma in un inno che nega l’inutilità della vita e che rifiuta che essa sia tale. Ciascuno ha un compito ben preciso da svolgere, ed è come se il dolore attivasse i sensi. Attraverso la sofferenza, ci si sente vivi.
L’opera è dedicata alla madre, chiamata qui con un nome di fantasia, Emma. La donna è morta da anni, colpita dal morbo di Alzheimer. In maniera delicata l’autrice ci introduce su quella “soglia” dove lei ha dovuto rimanere, come figlia impotente, impossibilitata ad andare “al di là”. La solitudine della madre si erge quindi ad emblema di ogni solitudine, e riporta al tema del recupero della memoria, importantissimo per l’individuo, dal “ripostiglio del tempo”, di cui rimane un’eco in lontananza, sempre pronta per essere colta. E spesso nella poetica della Fracassi vi sono allitterazioni che si ripetono in maniera esasperata; oppure gruppi di aggettivi o di verbi, allo scopo di rendere quest’idea di eco che rimbalza. Che tutto torna e non è perduto per sempre.
“Pure/ quei passi/ che ho inciso/ nell’anima/ sono rimasti/ nell’eco/ che sempre/ ritorna/ risuona/ rimbomba/ rimbalza/ risponde” da “Eco”.
Parole dure, come “stiletto”, “fendente” che ricorrono, danno l’idea di un’arma che agisca in velocità, a tradimento. Un colpo secco, inaspettato, ad arrecare un immane dolore. Proprio come avviene nella vita, coi suoi eventi ineluttabili. La poetessa quindi si fa strada e cerca il ricordo, e, attraverso l’urgenza dei suoi scritti, si impone di ripercorrere le proprie radici e di non essere mai dimenticata. Ma nonostante questo desiderio di continuare a vivere, fa fatica a ricongiungersi alle persone care, sebbene solo col pensiero.
“Ho ascoltato le voci di cristallo/ disciogliersi nell’aria/ che scuote di rosso le rose appassite/ Eppure ancora non ti ho incontrato”. Da “Ho”.
La mente è strutturata come se si trovasse di fronte a labirinti in cui ci si incontra, ma con altrettanta facilità, tutto sfuma e ci si perde.
Il ricordo è riportato attraverso immagini bucoliche, di una natura sempre presente, che è benevola ma rimanda al duro lavoro nei campi, di generazioni passate. Nei ricordi di bambina la tristezza rimane in agguato, pronta a ghermire e a ricordare quel vuoto venuto col tempo.
In alcune liriche si avverte una voglia di “leggerezza”, la necessità di potersi fidare di qualcuno, affinché non tutto sia dolore. Salta all’occhio che il sangue in questa silloge non sia rosso, ma bianco. Forse perché il bianco, ricordando la pagina scritta, è più rassicurante, rappresenta un punto di “stasi”, di riflessione. Insomma, apre una possibilità che invece la crudeltà non concede.
Questo poetare, che prosegue per similitudini e si sviluppa in dicotomie, è in continuo divenire. Una sperimentazione che include parole provenienti dal mondo della musica e assonanze con termini utilizzati da poeti antichi, fra tutti Leopardi.
“nella foresta più vergine/ dove lo sguardo si smarrisce/ dove la mente si spaura/” da “Foresta”.
Vi è un profondo desiderio di avere risposte, in questa raccolta poetica di Giovanna Fracassi, che siano domande poste ad un amore, al padre, alla madre, ai figli o alla vita di tutti i giorni. La ricerca di un registro linguistico che sia d’impatto. Che prima ancora di arrivare col concetto, arrivi al lettore per il suono. Come la musica, così importante e colonna sonora dell’esistenza.
E concludo con una poesia che ho particolarmente apprezzato, perché credo compendi tutto.
“Narro a me stessa/ la bugia/ che voglio sia mia/ ma/ mi manchi/ ancora/.” Da “Bugia”
Written by Cristina Biolcati
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