Spagna, Francia, 2007
82 minuti
Più ci si avvicina all'etereo epilogo di En la Ciudad de Sylvia, più quanto mai emergono chiare reminiscenze bressoniane. Oltre alla scelta di operare in sottrazione riducendo al minimo qualsiasi accento dialogico (e mai come in questo caso, inessenziale), per erigere un film astratto che vive di pura espressione di volti e movimento di corpi, enfatizzando lo spazio e colui che vi circola, il quinto lungometraggio del catalano Josè Luis Guerin sembra presentarsi strutturalmente come una sorta di riformulazione delle Quattro Notti di un Sognatore (1971). Anch'esso attraverso una costruzione in atti e un'evidente analogia tra il protagonista che persegue il suo ideale d'amore, e il personaggio di Jacques nel film di Robert Bresson: entrambi sono degli artisti ed entrambi, non possono che riversare nell'arte i loro sogni, i loro pensieri, le loro memorie. E In the City of Sylvia è, un film sulla memoria; un poema originalissimo che procede dilatato, attraverso la minuziosa ricerca di un ricordo sentimentale, di un volto scolpito in un tempo che lo stesso regista ha vissuto, proprio nella città di Sylvia*.
Prima notte: pensieri.
Le luci dell'alba rischiarano la stanza di un hotel di Strasburgo. Il giovane pittore è seduto sul letto, immerso nei meandri della propria memoria. Il suo è un ricordo che si chiama Sylvia ma probabilmente rimarrà solo un nome, perchè il volto si è perduto per le vie di quella stessa città, sei anni prima.
Solo ritornando nel luogo d'origine, Les Aviateurs, quel bar dietro la cattedrale, il ricordo può riacquistare forma. Occorre stabilire un contatto visivo; scrutare ogni volto possibile tra quelli delle donne sedute ai tavolini, focalizzarlo per poi sfocalizzarlo (impeccabile l'uso della profondità di campo) all'istante se non dovesse corrispondere ai requisiti richiesti dalla memoria. Un mosaico femmineo inizia a (de)comporsi al suono di malinconici violini e nel frattempo, la matita disegna, tratteggia, scalfisce quei volti sulla carta come le grafie rupestri (Laure jet'aime) che decorano i muri della città.
Dispersione/circolazione.
E' la città di Sylvia: il luogo dove ora, il pittore, insegue quel sogno materializzatosi per le strade, i viottoli, le finestre degli appartamenti, le vetrine dei negozi. Attraverso le sue vedute, Strasburgo si trasforma in uno spazio orbicolare che tutto avvolge, assorbe e destruttura. Inizia l'incanalamento verso una dimensione rarefatta; venti minuti di pedinamento che conducono ad uno stato d'estasi dispersiva. La conglobazione tra traffico urbano e movimento umano si intensifica, ma non siamo ancora penetrati nel fitto labirinto di riflessi, immagini e suoni che si affastelleranno di fronte al protagonista (frammentando l'immagine di Sylvia) in quell'epilogo destinato a stemperarsi nell'astrazione. Il suo, per ora è un ricordo ancora integro, perchè quella che lui crede essere elle (lei) ora è lì, che le parla, almeno finchè il tram su cui viaggiano non deciderà di dividere nuovamente le loro strade.
Non era Sylvia; la memoria, a volte, falsifica le immagini. Al pittore non resta quindi che rifugiarsi nuovamente nel suo mondo chimerico dove ora più che mai, si riforma quel movimento sospensorio di volti, tratti, capigliature scomposte dal vento, figure che s'intersecano, si riflettono, affollano l'ambiente e la vista, assumendo i toni metaforici di una mirabile dichiarazione d'amore nei confronti dell'intero universo femminile. Nel mentre, la città di Sylvia si abbandona al crepuscolo che precede la notte: la quarta notte?
*Si tratta in qualche modo un film autobiografico in quanto in gioventù, il regista conobbe veramente una ragazza di nome Sylvia durante un soggiorno a Strasburgo. A tale testimonianza infatti, esiste un interessante documentario fotografico (Unas Fotos en la Ciudad de Sylvia): una sorta di memoriale in bianco e nero che Guerin ha realizzato durante le riprese del film vero e proprio.