È presto, prestissimo, ma sono già per strada.
Penso alla pioggia, che da ieri è tornata a riempire il cielo.
A quell’albero – lì, a sinistra, lo vedete pure voi? – che all’alba del 22 gennaio è ancora tutto illuminato come un Babbo Natale. Chissa perché.
Penso al barbone che ho appena visto, addormentato su una sedia in stazione.
Al “ragazzo originale”, quello che in paese conoscono tutti. Quello che trovi sempre per strada a chiederti un euro per le sigarette. Stamattina è anche lui qui, in stazione. Però l’euro me l’ha chiesto per l’acqua.
Penso al brano che ho trovato in testa stamattina, un pezzo che sarebbe meglio ascoltarsi a letto in compagnia di un amante, di un amato. O di un ricordo.
Invece me lo sento dal treno, con queste cuffie stereo un po’ ingombranti, che c’entrano poco o niente con gli abiti da lavoro e col lunghissimo, precisissimo, professionalissimo capello liscio – niente riccioli alla Giovanna D’Arco, stamattina.
L’occhio fuori dal finestrino.
Tutto buio.
Kevin Eubanks nelle orecchie.
Chissà se arriverò mai a Milano.