Mentre sono ancora sotto indagine le conseguenze che il forte sisma ha prodotto sulle centrali nucleari nipponiche più vicine all’epicentro, molti impianti hanno fermato la produzione, riducendo così la fornitura di energia elettrica. E’ ora impossibile garantire la luce a tutti i 127 milioni di giapponesi, e si rendono necessari black-out programmati che hanno interessato la stessa capitale Tokyo: una rovina per un paese ad alta presenza industriale e tecnologica, che s’aggiunge alla catastrofe naturale.
Il Giappone, che ha seguito la strategia di conquistare l’autonomia energetica affidandosi a un alto numero di centrali nucleari, dovendo farne a meno (almeno per il momento) si ritrova così in seria difficoltà, e per tamponare il più possibile la falla dovrà acquistare energia oltreconfine, con un investimento economico considerevole.
La “disavventura” del Giappone non è un episodio eccezionale: altri paesi, con le dovute differenze, si ritrovano nella stessa situazione. Molti sono dipendenti in larga misura dalle fonti fossili non rinnovabili, come la Cina col carbone, e pertanto sensibili a ogni eventuale riduzione della materia prima; altri come l’Italia vivono il medesimo problema, con l’aggiunta di non disporre di giacimenti sufficienti nel proprio territorio e quindi sono obbligati a comprare gas o petrolio da altri, sottomettendosi di fatto ai capricci (leggi: ricatti finanziari) di chi quella risorsa la possiede.
Lo sfruttamento intensivo, anzi esclusivo, delle fonti rinnovabili invece può essere una via praticabile? Certamente no in tempi rapidi, a causa del prezzo salatissimo di convertire l’intero sistema di produzione, trasporto e soprattutto consumo dell’energia.
Ma non sarà così facile, al livello di consumi attuali sempre crescente: è inimmaginabile pensare a un futuro – ad esempio – costituito da distese infinite di impianti fotovoltaici, o di foreste sterminate di pale eoliche, che riescono a coprire il fabbisogno di intere nazioni.
Sempre a titolo d’esempio, l’agricoltura ha bisogno di spazio per sfamare la popolazione, e già comincia a entrare in competizione con i cosiddetti parchi solari (molto meglio sarebbe l’autoproduzione capillare, sui tetti di case e aziende); e i parchi eolici non possono sorgere a piacimento ma esigono determinate condizioni per rendere al meglio, e sono banditi da luoghi di particolare pregio paesaggistico, naturalistico o storico.
Diversificare, senza privilegiare una fonte o mortificarne un’altra, al momento appare la soluzione migliore: quella che massimizza il rapporto tra tutti i possibili costi e tutti i possibili benefici. Sempre puntando, in parallelo, all’efficienza e alla riduzione degli sprechi.