È un'eccezionalità tutta nostrana, considerato che nel resto d'Europa le sue mansioni si svolgono su base volontaria. Ma in Italia gli energy manager sono oltre duemila e in costante crescita dal 1992, come riferisce Giuseppe Tomassetti, vicepresidente della Fire (Federazione italiana per l'uso razionale dell'energia).
“Tale professione – spiega Tomassetti a Regione Digitale – è stata introdotta dalla legge 308/82 e in seguito dalla legge 10 del 1991. Quello dell'energy manager è un ruolo consultivo. In pratica suggerisce ai grandi consumatori, ad esempio le aziende o gli enti dell'industria, quale percorso intraprendere al fine di raggiungere un uso razionale dell'energia. Traccia dunque i bilanci e progetta interventi mirati”.
La figura dell'energy manager nasce oltreoceano agli inizi degli anni '70, in virtù della prima crisi petrolifera. Dagli Stati Uniti la professione si estende in Europa, assumendo nel nostro Paese un ruolo dirimente al fine del contenimento dei consumi energetici. Per approdare in questo settore è auspicabile una laurea in ingegneria energetica, esperienza sul campo e costanti corsi di aggiornamento dettati dalle direttive nazionali e comunitarie sempre più esigenti in termini di impatto ambientale oltre che di risparmio ed efficienza attraverso, talvolta, l'impiego delle rinnovabili. L'esigenza deriva dall'annoso problema delle politiche energetiche che oggi, grazie allo strumento legislativo, affida al responsabile adeguati poteri in materia. La Fire – di cui Regione Digitale si è già ampiamente occupata – dal 1992 gestisce, su incarico del Ministero dello Sviluppo economico, le nomine degli esperti secondo quanto stabilito dalla legge 10/91. I soggetti che devono avvalersi degli energy manager sono le imprese del settore industriale che superano in consumi i diecimila tep, vale a dire tonnellate equivalenti di petrolio, e gli enti o gli istituti del terziario e della pubblica amministrazione che raggiungono i mille tep.
“Generalmente – afferma il vicepresidente della Federazione, già dirigente Enea – solo il 15 per cento degli energy manager sono consulenti esterni. Nella maggior parte dei casi il responsabile è un dipendente dell'azienda che conosce al dettaglio quelle che sono le dinamiche energetiche, quindi il fabbisogno e gli interventi sostenibili”. Quali sono i settori in cui la figura dell'energy manager è più richiesta che altrove? “Nell'ambito dei servizi, sia pubblici che privati. In particolare – aggiunge Tomassetti – nel campo ospedaliero che per forza di cose necessita di determinati consumi. Tutto ciò fermo restando che i consumi in Italia sono tra i più bassi, vista la maggiore tassazione rispetto ad altri paesi europei. In Germania, ad esempio, il gasolio da riscaldamento costa all'incirca 0,7 euro al litro mentre nel nostro Paese si toccano quote superiori”.