Il 27 novembre 2013 su LE PAROLE E LE COSE è apparso, Lettura a Klosterplatz, un inedito di Fabio Pusterla (qui). A un mio stringato commento critico hanno replicato alcuni frequentatori del blog. Questa per ora la mia risposta. Vedremo il seguito…[E.A.]
Ennio Abate
29 novembre 2013 alle 10:24
Bene. Allora, dopo il commento ellittico, passo a quello esplicito. Davanti a una poesia, anche bella (coi criteri letterari d’oggi, certamente), non mi adatto al giochetto alla FB del mi piace e stop. Per me questa poesia di Pusterla non dice quello che oggi la poesia dovrebbe dire. Per esprimere il mio dissenso però, mai userei le categorie di «solipsismo tardo romantico borghese» o di «colpevole apoliticità». Questi sono termini vuoti.Oggi il solipsismo ha altro senso rispetto al passato (siamo tutti da tempo – almeno dagli anni Settanta – «folla solitaria»), la borghesia non esiste più e considero l’appoggio (anche solo col voto) all’attuale farsesco surrogato della politica – di destra e di sinistra- più colpevole dell’apoliticità coatta (o scelta) di una buona parte degli *abitanti* di questo Paese. Diffido pure della facile etichetta di “poesia civile”. Aveva forse ancora un senso nell’epoca in cui vissero Pasolini e Fortini, che potevano magari illudersi di parlare a una comunità di sinistra o che addirittura combatteva per il comunismo. Oggi l’etichetta “poesia civile” blocca ogni ragionamento su quanto sia non-civile la società in cui ci tocca vivere; e su come questo suo degrado (costruito) renda quasi impossibile fare poesia civile, costringendo di fatto a scrivere al massimo della poesia “privata” o “semiprivata” o (speranzosamente) “profetica”. Questa la mia tesi che non sto qui a spiegare. (L’ho fatto altrove, ad esempio qui: http://moltinpoesia.wordpress.com/2013/10/17/ennio-abatedue-precisazioni-sulla-poesia-civile-e-sul-rapporto-tra-poesia-e-altri-saperi/).
Acrimonia la mia? Sì, perché ho sperimentato il lotofagismo, come detto in tanti miei interventi «fuori luogo» su questo blog, dei miei “colleghi” intellettuali (accademici e non); e anche dei poeti, che per me dovrebbero essere almeno con un piede fuori da questa categoria (svuotata anch’essa di senso). Non è acrimonia, dunque, specificamente indirizzata a Pusterla, che per quel poco che ho letto di lui giudico poeta rispettabile e onesto.
Anche per il blog in cui appare, dunque, questa sua *bella* poesia, mi ha offerto lo spunto prima per una critica umorale e ora per vuotare un po’ di più il sacco.
Cosa di essa non mi va?
Trovo irritante quel «Tu leggi, leggi bene, con calma /in questo scrigno barocco fitto sull’altipiano/ parole di laguna e di musica». Mi ha ricordato una vecchia polemica con un mio amico sostenitore del “piacere della lettura”.
Non sopporto – per la sua genericità – la sublimazione rassegnata e pietistica di questi altri versi: «nostra/comune devastazione italiana assenza d’orizzonti /improbabile ineludibile speranza / e sua evidente scomparsa /colpevole». Si tirassero fuori le colpe. Si dicessero i nomi dei devastatori.
Che «una folaga solitaria ascolterà distratta /altre vicende di quotidiana miseria» è un altro ambiguo e consolatorio slittamento dal piano (atroce) della storia al piano (deresponsabilizzante) della natura.
Il contrasto fra l’evocazione (generica anch’essa) del gesto omicida di Kabobo a Milano (maggio 2013) e quel «noi qui a vedere l’acqua che passa tra le rive» affloscia nell’intimismo amicale ( ah, le affinità elettive!) il dramma sociale dello scontro pesantissimo tra immigrati e abitanti nativi di questo e di altri Paese europei. Quell’episodio è la punta di un iceberg. Andrebbe scavato a fondo e non appiattendosi sulla cronaca. A me ha fatto pensare all’uomo della roncola di Fanon. In quel gesto folle ci leggo il simbolo tremendo di quel che farebbero gli Africani agli Europei solo se potessero.
E tutto quell’affidarsi alla «voce/ che avevi leggendo», la quale sarebbe in grado di trascendere («sale più in alto») tante cose e persino (o soprattutto?) «la nostra/ storia individuale collettiva»? E, ancora, quell’evocare due immagini-cult (Walser, Kafka), care figure anche per me di un mondo scomparso e oggi gestite solo accademicamente da schiere di letterati ben integrati nel Castello e niente affatto angosciati cercatori di verità?
Una sintassi, un ritmo, il pensiero dei figli ci guiderebbero? Ma dove? Ahimè, siamo davanti a masse di naufraghi alle prese con la tempesta che squassa il mondo e che implorano non parole ma ben altro e cincischiamo, più distratti della «folaga solitaria», immaginandoci un mitico Ursus «soldato ribelle di Roma»? Ma gli egiziani che oggi sfuggono alla dittatura militare sostenuta dal buon Obama e da Letta trovano al massimo lavori da lavapiatti o da fornai in un Paese che è una colonia americanizzata. (Ursus almeno «veniva dall’Egitto» in una Roma imperiale…).
L’espressione «aristocrazia dei benestanti dello spirito malinconico» vi pare troppo forte e rozza? La rivendico. Non è del tutta appropriata per il testo di Pusterla? Può darsi, ma dimostratemelo.
Questa la mia lettura critica. Di certo “contenutistica”, “viscerale” e «fuori luogo», se confrontata coi commenti ossequiosi e cinguettanti che di solito leggo sotto le poesie pubblicate nel Web (e non solo su LPLC). Voi giudicate questa di Pusterla «altissima poesia civile». Io sono convinto che, proprio perché rassegnati alla nostra «quotidiana miseria», proprio perché stiamo subendo la «devastazione italiana», i poeti non se la possono più cavare parlando genericamente di « bassa marea bassa pressione bassura di tempo », quando si tratterebbe di nominare – più da vicino e con più esattezza e certo in poesia (per carità, non ditemi che voglio ridurre la poesia alla politica! O che “fraintendo”!) – chi ci ha abbassato il mare e ridotti così.
In tempi ancora bui non sia un bene-rifugio la poesia.