Enrico Ruggeri al quotidiano Libero: «Mediaset? Meno politicizzata di quanto si pensi»

Creato il 01 dicembre 2013 da Nicoladki @NicolaRaiano
«Il segreto del successo di Lucignolo 2.0 sono i servizi che mandiamo in onda: una perfetta fotografia del Paese». Enrico Ruggeri ne è convinto. Sicuramente vero, ma anche la sua presenza si è rivelata un prezioso contributo. La trasmissione targata Videonews - in onda stasera in prima serata su Italia 1 - era infatti partita un po’ in sordina. Con la guida di Ruggeri e Marco Berry, dalla seconda puntata in poi, le cose sono cambiate. Il programma è cresciuto molto, così tanto da aver convinto la rete a dargli fiducia anche dopo la pausa natalizia.
Enrico, cosa crede di aver dato in più al programma?«A me piace raccontare delle cose alla gente, lo faccio da sempre attraverso la musica, i libri; poi è arrivata anche la televisione e lo faccio anche lì».
Ma quando le hanno chiesto di fare Lucignolo 2.0, cosa le hanno detto?«Non mi hanno detto: “Vieni e risolvici il problema”. È stata una proposta inaspettata, ma allo stesso tempo interessante e stimolante».
Quali tra i cambiamenti apportati al programma ha pagato di più in termini di ascolti?«Non lo so. Forse, il fatto che qualcuno introduca i servizi. Secondo me, così facendo, risultano più interessanti».
Qual è il servizio più avvincente fatto finora?«L’intervista a Javier Zanetti. Non solo perché sono interista, ma soprattutto perché la testimonianza data da Zanetti è quella di non arrendersi mai di fronte alle difficoltà. Lui a 40 anni si è rotto il tendine di Achille ma non si è comunque dato per vinto. I ragazzi di oggi si fermano di fronte a ostacoli molto meno rilevanti».
Cosa vedremo stasera in onda?«Ci sarà un intervento di precisazione sul mondo del lattex, fatto da gente che non si piace e per questo si traveste da bambola gonfiabile ecc...so che si può pensare il contrario, ma vengono fuori alcune sfaccettature positive di queste persone. Poi avremo un bel servizio sull’elettrochoc, io pensavo che non ci fosse più in Italia e invece...».
A chi parla Lucignolo 2.0?«Ai giovani. E e quindi anche alle mamme e ai papà di quei giovani».
E lei che giovane era?«Ero un ragazzo di un liceo milanese (il Berchet, ndr) in anni turbolenti e violenti - gli Anni Settanta - che cercava la sua dimensione attraverso la musica».
È la musica la cosa di cui non potrebbe mai fare a meno?«Decisamente. Mi piace far tv e anche scrivere. Il mio ultimo libro Non si può morire la notte di Natale (Baldini Castoldi Dalai Editore) è alla terza ristampa, ma l’emozione che da una sala piena di gente che canta insieme a te è qualcosa di unico. Mi appaga».
Pensa magari a Sanremo?«Non si può fare tutto. Ci sono stato e non ho nessun tipo di remora».
Non andrebbe neppure come ospite?«Non credo vogliano ospiti italiani e poi andrei per far cosa? Scendere da una scalinata? Non è ipotizzabile».
Prima di avviarsi a una carriera nel mondo dello spettacolo ha fatto l’insegnante. Cosa avrebbe voluto insegnare ai suoi ragazzi?«Avrei voluto prepararli alla vita, cioè dargli gli anticorpi».
Se nel periodo dei suoi vent’anni ci fosse stato un talent lo avrebbe fatto?«Sarei stato escluso sicuramente. Perché il talent sceglie chi canta meglio, ma in sostanza i giudici di quella persona non sanno nulla. L’artista vero invece, quello che rimane sulla cresta dell’onda per tanti anni va al di là della vocalità».
Neanche i rapper hanno vocalità, eppure stanno spopolando.«Il rap, essendo una musica semplice dal punto di vista armonico e melodico, necessita di buoni testi. I rapper potrebbero essere i cantautori del futuro».
Il successo di Lucignolo 2.0 potrebbe riportarla a Mistero, ancora in coppia con Marco Berry?«No no, nella vita bisogna vincere, non stravincere (Berry invece sarà impegnato in entrambe le trasmissioni, ndr)».
È stato spesso definito un cantautore di destra e lavora a Mediaset. Pesa portare questa etichetta?«Assolutamente sì. Pesa eccome».
Sta facendo «la piangina» - come disse una volta Aldo Grasso parlando di lei - o dice davvero?«Essere definito “cantautore di destra” ha avuto un peso e purtroppo non in positivo. La cultura - per convinzione popolare - è di sinistra, quindi essere definito di destra ti chiude alcune strade».
Non a Mediaset però.«Mediaset è un’azienda pragmatica e molto meno politicizzata di quello che si possa pensare. Se fai bene il tuo lavoro e porti a casa dei risultati va bene se no sei fuori, a prescindere dal partito per cui vai a votare».
Se le chiedessero di andare in Rai?«Ne parlerei con Luca Tiraboschi (direttore di Italia 1, ndr). Ho un debito di riconoscenza con lui, mi ha voluto lui sul piccolo schermo».
Intervista di Antonella Luppoliper "Libero Quotidiano"

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