Enzo Fasano: I tramonti nascosti negli alberi

Creato il 19 aprile 2011 da Cultura Salentina

di Paolo Vincenti

© Enzo Fasano: Campagna salentina (tarsia cm 65x75 1979)

Parabita, terra di artisti, di scrittori, di poeti, di musicisti, di creativi. Anche Enzo Fasano è figlio di Parabita e di quel Salento contadino che emerge dalle sue opere, nei colori vivi ed accecanti del paesaggio mediterraneo, che Fasano rappresenta magistralmente nei suoi intarsi. Una tecnica antica, quella dell’intarsio, e difficile, laboriosa, che richiede una dedizione totale, una passione incondizionata.

Ed infatti, un vero atto d’amore è quello che ha spinto il maestro Fasano ad intraprendere, molti anni fa, la strada non facile dell’intarsio ligneo. Se noi ci troviamo davanti ad un tronco d’albero, vediamo un tronco d’albero: Enzo Fasano vede, invece, tramonti infuocati, contadini curvi sulle loro gambe a raccogliere patate, pajare e muretti a secco a delimitare poderi, cataste di legname approvvigionato per l’inverno, donne contadine gravide, come le Veneri parabitane, che partoriranno altre forti braccia contadine, come la Grande Madre Terra partorisce i frutti di questo nostro Salento; e poi, infiniti cieli azzurri, adombrati a volte dal passaggio di qualche nuvola minacciosa, e gli attrezzi del lavoro che ci rendono, per intero, il senso della fatica, della tenacia, di quei poveri cristi, lavoratori della terra, cavamonti, operai, simili al Cristo contadino realizzato da Fasano su una macrotarsia di mt.3 x 2.

Con questa grande opera, Crocifissione, del 1973, che campeggia nella grande sala della sua casa laboratorio, nel centro storico di Parabita, Fasano ha voluto dare un messaggio preciso, rappresentando il Cristo in croce con le fattezze, ruvide, spigolose, di un contadino parabitano, circondato da altri contadini che gli fanno scolta, immersi nel paesaggio, “terragno e riarso”, di un  Salento arcaico, mitico.

Questo Cristo è molto distante dalla grazia un po’ efebica del Gesù di Nazareth di Zeffirelli, e ricorda semmai il Cristo più rozzo e maschio voluto da Pasolini nel suo “Vangelo secondo Matteo”. Il critico Romano Pieri accosta le opere di Fasano alle scene di “Fontamara” di Ignazio Silone, una “Fontamara” parabitana, che Enzo Fasano vuol rendere universale anche attraverso i suoi personaggi, i contadini poveri che, secondo la lezione siloniana, si somigliano un po’ in tutti i paesi del mondo,  convinzione profonda anche di Bodini, che tracciava parallelismi fra i nostri “ppoppiti” salentini ed i  “gitani” di Garcia Lorca del Sud della Spagna.

La tecnica dell’intarsio, portata al massimo splendore nei secoli XIII-XVI, venne poi degradata a mero artigianato nei secoli successivi, salvo essere  ripresa nell’Ottocento e portata ad altissimi livelli di nuovo nel Novecento. Oggi, Enzo Fasano è unanimemente considerato il più importante maestro vivente della tarsìa, in Italia e in Europa.

La prima parte della sua carriera è caratterizzata da questa forte attenzione verso il mondo contadino del Sud, rappresentato da Fasano con un forte realismo, quasi vicino alla denuncia sociale. “Pittura tonale” viene definita, la sua, dal grande maestro Lionello Mandorino. Nato a Parabita, nel 1944 ( “una buona annata” ci dice Fasano, con quel suo sorriso sornione e un po’ beffardo), da una famiglia contadina, frequenta l’Istituto D’arte “Enrico Giannelli”, dove svolge un lungo tirocinio con Salvatore Spedicato, suo maestro, insieme al pittore Vanni, che conosce durante un successivo tirocinio a Modena.

© Enzo Fasano: La grotta dei cervi (tarsia cm 47x57 1984)

Durante gli anni della prima giovinezza, alterna la pratica artistica con il lavoro nei campi, che lo fortifica e che diventa per lui apprendistato preziosissimo, terminus ante quem, palestra di vita. Quelle emozioni violente sbranate da ragazzo, quelle giornate assolate trascorse a raccogliere ulive o patate e tutti quegli attrezzi di lavoro, ritorneranno, qualche anno dopo, sublimati ma non troppo dal ricordo, nei suoi lavori, in cui Fasano rappresenterà il suo Sud, quello di una civiltà contadina, incorrotta e solatia, alba mitica del mondo, età dell’oro, tòpos  di buona parte della sua produzione artistica di sempre.

Ammiriamo, allora, “Raccolta delle ulive”,  “Cave di tufo” e “Il lavoro nelle cave”, sull’attività dei cavatori parabitani o, ancora, “All’alba nelle cave dei tufi”; e poi, “Campagna salentina”, con quel cesto ( lu panaru), quell’orciuolo  ( lu ‘mbile) e quelle zappette , in primo piano, riproposti, con l’aggiunta degli scarponi da lavoro, in “Paesaggio salentino”; “La raccolta delle patate”, “Contadini”, “Contadini, cave e campagna di Parabita”, “Alla sera”, con quei tre contadini che, seduti, l’uno distante dall’altro, stanchi delle fatiche del giorno, sembrano quasi voler ritemprare le membra e consolare quello “spirto guerriero che entro gli rugge” di foscoliana memoria; e “Le pietre raccontano”, che sembra voler  tradurre nel linguaggio della tarsia  la lezione di Carlo Levi secondo la quale “le parole sono pietre”.

E quanta armonia c’è in quel “Cortile parabitano”, fermo nella sua poeticità, e nell’ “Omaggio a Parabita”, o negli “Spaventapasseri”, che ritornano in diverse opere, come figure mitiche, ancestrali, che si animano e vanno a spasso fra i campi, custodi, oltre che del raccolto, di un tempo che non vuole finire, ma che si abbarbica ai colori delle tavole di Fasano e ci trasmette una accorata nostalgia: per noi, una nostalgia del non vissuto, del non provato, forse ancora più efficace. Fasano opera nell’ambito dell’intarsio pittorico, il più difficile e ambizioso. In questo tipo di intarsio, l’artigianato, pur nobile, degli altri tipi di intarsio e degli altri esecutori, diventa arte.

Gli anni ‘70 sono quelli del più forte impegno e della maggiore presenza alle mostre da parte di Fasano, uno sforzo per ottenere quella visibilità ed anche quella sicurezza economica che potessero permettergli di continuare sulla strada intrapresa. Egli partecipa a molte rassegne collettive nazionali ed internazionali, a Monaco di Baviera, nel 1976, a Firenze, nel 1977, a Cracovia, in Polonia, in occasione della visita del Papa, nel 1979, all’Arengario di Milano, in occasione della Mostra del Mosaico di Otranto, nel 1980; e poi molte mostre personali: a Parma, a Modena, a Bologna, a Basilea, in Svizzera, ecc.. Approvazione e lodi entusiastiche vengono da critici come Leonardo Borgese, Carlo Munari, Romano Pieri.

Nel 1984, la svolta, con quella importantissima mostra dedicata alle pitture preistoriche della Grotta di Porto Badisco, “Badisco 84”,  che si tiene nel Castello Aragonese di Otranto, nel 1984,con presentazione di Mario Marti, cui ne seguiranno molte altre , come “Le  Stele Daunie”,  “Le icone bizantine” e “Viaggio in Puglia: dalla preistoria alla civiltà contadina”, sempre all’insegna di quella “archeologia lirica del maestro Fasano”, come la ha definita Donato Valli. Oggi, la sua attività si è un po’ diradata, ma non la sua voglia di fare ed il suo entusiasmo. Fasano dimostra molto meno dei suoi anni. In effetti, l’arte, non siamo i primi a dirlo, mantiene sempre giovani.

Un’arte antica, quella di Enzo Fasano, che di quest’arte ha fatto tutto il proprio mondo: e in fondo, non è forse il mondo stesso la più mirabile opera di intarsio che sia mai stata realizzata?


Già pubblicato su “Il Tacco d’Italia” settembre 2006  e poi in “Di Parabita e di Parabitani” di Paolo Vincenti, Il Laboratorio Editore, 2008.


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