Con queste parole si chiude la " Lettera a Meneceo", scritta da Epicuro nel III secolo a.C., nella quale viene fuori tutta la sua filosofia.
Già dalle prime righe è possibile cogliere una differenza tra le concezioni precedentemente trattate. Epicuro non gira intorno a nozioni o istruzioni, apre la sua epistole dichiarando che solo grazie alla filosofia si è in grado di poter raggiungere la felicità, che non è fatta di virtuosismi ma , parlando in modo profano, del compiacersi di ciò che ci ha offerto la natura.
Dopo aver invitato Meneceo a praticare la filosofia, Epicuro analizza le cause dell'infelicità (note nella sua filosofia come Tetrafarmaco).
Innanzitutto afferma che non bisogna temere gli dei, il suo suggerimento sta nel rifiutare " l'opinione che ne ha il volgo" perché vivendo nell' intermundia (spazio tra mondi reali) non possono conoscere gli uomini, e di conseguenza non possono neanche agire sulle nostre vicende.
Epicuro,inoltre,continua il suo discorso affermando che la morte non è niente per noi, non dobbiamo temerla perchè "quando noi siamo, la morte non c'è, e quando la morte c'è noi non siamo più."
Le successive tappe sono "il bene è facile da procurarsi" e " è facile sopportare il male".
Per quanto riguarda la prima ci istruisce nella ricerca del bene, esso nell'epicureismo è racchiuso nei piaceri, che non bisogna mai fraintendere con quelli di cui hanno parlato filosofi come Aristotele e Seneca, proprio per questo motivo Epicuro, nelle successive righe, spiega cosa sono e a quali bisogna aspirare. Il filosofo, per quanto riguarda il bene, si affida al saggio. Questi non gode della vita, ne viene "disturbato" dalla morte, perché gode nel vivere e si accontenta di ciò che la vita gli ha dato.
Secondo Epicuro, egli è colui che "ha un'opinione corretta e reverente riguardo agli dei, nessun timore della morte, chiara coscienza del senso della natura, che tutti i beni che realmente servono sono facilmente pro-cacciabili, che i mali se affliggono duramente affliggono per poco".
Quindi grazie a questa definizione il saggio è pienamente consapevole che, ritornando al tetrafarmaco, è facile sopportare il male.
A seguire, il filosofo ci offre la classificazione, prima dei desideri e poi dei piaceri.
I desideri possono essere: " naturali" divisi in necessari, ovvero essenziali alla vita come bere e mangiare; e non necessari, quelli che hanno a che fare con cibi raffinati o bere quando non si ha sete. L'altra categoria di desideri è definita " vana". A questa appartengono quelli superflui; anche se non saziati essi non comportano dolore come ad esempio: la ricchezza, il potere etc.
Alla classificazione dei desideri segue quella dei piaceri che sono o cinetici o catasetematici.
I primi sono da tenere in considerazione, quelli che hanno a che fare con la nostra parte appetiva e che corrispondono alla soddisfazione di una necessità (come il mangiare quando si ha fame) e che quindi non comportano danni fisici, ma anzi li evitano.
Inoltre, il filosofo ci ha insegnato che bisogna godere del vivere e di ciò che la natura ci ha donato. Soprattutto non bisogna per forza cercare di eguagliare i propri limiti, perché non è importante una vita lussuosa ma la consapevolezza della vita, e goderne finché si è vivi.
Non esiste un'età o una maturazione giusta, che ci spinga alla ricerca della felicità, come dice Epicuro: "Mai si è troppo giovani o troppo vecchi per la conoscenza della felicità. A qualsiasi età è bello occuparsi del benessere dell'animo nostro. Chi sostiene che non è ancora giunto il momento di dedicarsi alla conoscenza di essa, o che ormai è troppo tardi, è come se andasse dicendo che non è ancora il momento di essere felice, o che ormai è passata l'età. Ecco che da giovani come da vecchi è giusto che noi ci dedichiamo a conoscere la felicità. Per sentirci sempre giovani quando saremo avanti con gli anni in virtù del grato ricordo della felicità avuta in passato, e da giovani, irrobustiti in essa, per prepararci a non temere l'avvenire."