Epifania birmana

Creato il 21 aprile 2014 da Paola Annoni @scusateiovado

Questo è uno di quei pezzi che si scrivono a tarda notte, quando il telefono non suona e la testa è vuota. Parla la pancia, quelle emozioni che escono quasi con stupore da parti del cuore che le hanno conservate per bene, senza concedersi, senza condividere.

Lavoricchiando, facendo qualcosa di ripetitivo, ogni tanto guardo qualche film se è in italiano, così posso occupare le mani in un modo e le orecchie e parte della vista in un altro.

Per caso l’ho trovato, e sul cellulare ho caricato “The Lady”, la storia di Aung San Suu Kyi.

Le prime immagini scorrono, la Birmania appare nella sua bellezza. I templi di Bagan, i laghi, i colli dei militari sudati dentro le divise color cachi.

In meno di tre minuti ho risentito il profumo di quella terra, la sabbia sporca che si attacca alla pelle, il caldo umido, il profumo del riso, quel suono strano del loro alfabeto, il loro saluto che ancora mi fa ridere (visto che suona più o meno come “Gesù va al mare”) .

E così, a tre mesi di distanza è arrivata, nello stomaco. Ho realizzato.

Sono stata in Birmania.

Ho calpestato quella terra, ho mangiato con le mani il loro cibo, mi sono arrampicata su quei templi che ho sognato e desiderato con tutta me stessa come quelli di Angkor, mi sono buttata nei mercati di Rangoon e vissuto le preghiere degli altri nel tramonto dello Shwedagon, ho visto alberghi stupendi e donne che sembravano uscite da un’altra epoca mentre copiavano fogli con le macchine da scrivere, ho bevuto cocco fresco, guidato bici elettriche nelle vie più buie, giocato con i bambini, faticato sulle strade di Mandalay, fatto foto con i monaci che hanno rivoluzionato la mia visione del loro mondo (gli smartphone nelle pieghe dei loro abiti arancioni sono sempre inaspettati), visto tramonti mozzafiato, assaggiato cibo terribile e dolci stucchevoli, visto villaggi, e poi… E poi…

Scrivo e mi scendono le lacrime.

Ho pianto davvero spesso durante quel viaggio. Di gioia ovviamente.

L’emozione di un viaggio regalato, un viaggio che sogni da una vita, essere lì quando la tua testa e il tuo cuore non hanno avuto il tempo di prepararsi, farlo tenendo l’uomo che ha creato tutto questo solo per vederti felice…

Sono stata in Birmania e lo sento solo adesso.

Perchè a volte quando sei in viaggio e corri, cerchi di fare tutto e di godere di più esperienze possibili, spesso ti perdi la percezione di quello che stai facendo, ti sfugge l’assorbimento di un luogo. Lo vedi, lo vivi appieno, ne godi, familiarizzi. Ma poi è lì, nei ricordi, nella macchina fotografica, nei racconti scritti e tramandati oralmente. Ma resta sospeso, non diventa pelle o polmoni.

Sono stata in Birmania e ancora non ci credo.

Mi capita spesso questa cosa, di metabolizzare e realizzare molto dopo di aver fatto un viaggio, di esserci stata davvero, di aver vissuto in prima persona certe esperienze.

Guardo le foto e mi sembra di sfogliare l’album di qualcun’altro, mi piace, sento che c’è qualcosa che sfrigola nell’anima ma finchè non è dentro, finchè non arriva in fondo… Beh, non puoi farlo tuo.

Sono stata in silenzio a guardare tramontare il sole su Bagan, seduta in cima ad un tempio circondata da centinaia di persone. Il brusio era diventato un rumore di sottofondo di uno spettacolo di natura che si fonde con anima e uomo che è paragonabile solo all’alba in solitaria al Bayon.

Sono cose che ti restano quelle. Per sempre. Più di qualsiasi borsa alla moda, o vestito che credi possa starti alla perfezione.

I sorrisi stanno alla perfezione addosso alle persone, quelli che nascono spontanei nelle labbra di chi ricorda cose come la mia Birmania.

E’ bellissima. E’ fuori dal tempo ma già sfregiata da un turismo ignorante, da bus che arrivano consumano e vanno, da persone che non si sono poste il dubbio se andare o meno.

C’è polvere, ovunque. Ma la gente è accogliente, alcuni fin troppo.

Mi brucia l’anima a ripensarci perchè sento scorrere quei giorni nelle vene, come se si fossero bloccati da qualche parte fino a stasera e avessero ricominciato a scaldarmi l’anima, a far parte di me.

Ho un ricordo, il più bello del viaggio che sono felice sia stato ripreso da Gianni.

Io seduta nella casa della ragazza che ci faceva vedere il suo villaggio a Bagan, lei mi trucca con la tradizionale polvere di Thanakha , mi ripete più volte “don’t smile!”, le scappa da ridere perchè io ci provo ma non ci riesco, ho il sorriso stampato e non riesco a levarmelo quasi neanche per il tempo del trucco.

Neanche ora.

Non adesso, non ora che ho la Mia Birmania tra le mani.



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