Eppure il vento soffia ancora

Da Paolob
Scrivere è da sempre per me - senza alcun obbiettivo 'professionale' - un modo per parlare con me stesso, uno strumento per dirsi cose che non si ha il coraggio di pensare. È un esercizio intellettuale che mi permette di costruire, ragionare, analizzare, ricordare, denunciare...
Il blog ha poi quella punta (punta, nulla di più...) di pubblico, che dà un po' di pepe a quanto si scrive, impone qualche regola, e soprattutto aiuta, sprona, incita a non mollare.
Questo è un momento della mia vita in cui scrivere potrebbe essere un formidabile aiuto a vincere tristezza e sofferenza. Potrebbe essere un modo per dare libero sfogo ai sentimenti.
E invece, al contrario, non ne ho voglia.
Ogni pensiero, ogni attimo della giornata, ogni istante del pensiero sono monopolizzati dalla visione quotidiana, dalle visite del mattino e della sera, a mio padre, sdraiato ormai sul suo letto, in costante affanno d'aria, con la maschere, tubi e flebo che cercano scoppiettanti di tenerlo in vita nonostante tutto.
Non voglio ripetere la solita, ormai stantia, tiritera sulla dignità di vivere, sulla possibilità di avere una degna morte e di non vegetare inutilmente tra piaghe, dolori e imposizioni.
Mio padre non vive più da tempo, anche se il suo corpo, forte come una roccia, si rifiuta di mollare il colpo per dedicarsi ad altro.
Io sono ormai sfibrato, da questa attesa spasmodica, di un destino ormai ineluttabile, che condiziona tutto e tutti.
Io lo ricordo duro, incazzoso, ironico e amante dei monti e del cercare funghi.
Ma oggi, nella visita quotidiana di mezza giornata, mi ha fissato, implorante, quasi piangente, e sibilando mi ha sussurrato 'sono stufo'; e io mi sono sentito inutile, spettatore passivo di una storia finita.
Spero di risparmiare tutto ciò ai miei figli.
Nessun figlio se lo merita.