Il finire di maggio, per l’esattezza. Ricordo esattamente il quando e il dove. Era sabato e giacevo immota su una sedia all’ennesimo compleanno nanico. Mentre mi interrogavo sulla vita, l’amore e le vacche (cit.), mi arriva un sms. Era tuttotace, che mi diceva: ‘so che non hai whatsapp, ma se lo installassi, abbiamo aperto una piccola chat con connie e giovol.’
Ora. La richiesta di installare whatsapp era ampiamente e ripetutamente pervenuta da parenti, amici, conoscenti e clienti. L’Uomo, di suo, portava avanti la sua crociata da un paio d’anni almeno. Avevo sempre resistito, nella convinzione che tenere l’applicativo fuori dalla mia esistenza mi avrebbe evitato l’ennesima rottura di palle.
Fu quindi con assoluta coerenza che risposi: ‘aspetta che lo scarico subito’.
Al secondo giorno di chat mi sono resa conto che l’uso che ne facevamo era assolutamente morigerato. 275 messaggi in un’ora. Io, che non avevo mai cattato in vita mia. Tempo un altro paio di giorni e si aggiunsero anche ‘povna e spersa. Però. Però mancava ancora un tassello a quel puzzle, e, tempo una settimana, ci raggiunse anche la nostra expat preferita, arya.
In tutti questi mesi la chat ci ha tenuto compagnia, asciugando lacrime, ascoltando sfoghi, consolando se del caso, suggerendo quando possibile, facendoci spesso ridere fino alle lacrime. Abbiamo scritto cose irripetibili e riso di altre che, in realtà, non facevano ridere proprio per un cazzo, ma buttarla in vacca è, a volte, l’unico modo per resistere.
Non abbiamo solo riso. Abbiamo anche discusso e talora ci siamo scontrate, qualche volta persino dette verità sgradevoli, con sincerità spassionata e assoluta assenza di giudizio sulla condotta altrui. Perchè amicizia, e affetto, sono anche e soprattutto questo: sincerità e non giudicare.
Da mesi ci diamo il buongiorno ogni mattina e la buonanotte ogni sera. Tutte. Che già solo a pensarla, questa, è una cosa che mi commuove. Nei giorni in cui spersa portò il suo cuore generoso in Bangla vi fu anche una chat parallela, per non recidere quel legame quotidiano.
Non sorprende perciò che quando a settembre cominciò a prendere corpo l’ipotesi di vederci, tutte insieme, nel weekend tra il 19 e il 20 dicembre, invece di archiviare l’idea alla voce fantasie malate, ci si sia, semplicemente, organizzate.
Siccome la parola semplicemente è bandita dal vocabolario di tutte noi, e le distanze, onestamente, non aiutano, la prima, inoppugnabile, prova dell’affetto che ci lega è stato proprio quell’esserci organizzate.
Abbiamo guidato, preso treni e, siccome cittàlontana è davvero lontana, persino aerei.
Perciò, il 19, ci siamo lasciate tutte alle spalle cazzi e mazzi, e siamo partite alla volta di casa ‘povna.
La ‘povna è una persona che, per spiegare quanto sia speciale, basta dire che, sapendo che alcune di noi sarebbero arrivate a casa sua prima di lei, ci abbia lasciato, semplicemente, le chiavi. Fate come se foste a casa vostra non è stata frase di circostanza, ma dato di fatto.
Poi, siccome stare insieme è anche convivialità, ciascuna ha portato vivande e alcool. Come se non ci fosse un domani. E per trenta ore a casa ‘povna si è mangiato e bevuto senza soluzione di continuità. Incuranti che il sole splendesse alto oppure fosse calata la sera. Chiacchiere, risate e lacrime. Una cosa che sembrerebbe un film e invece è stata semplicemente la nostra chat che per 24 ore si è animata ed è diventata un de visu.
Abbiamo trascorso brandelli di notte a dormire in tre in un letto (iome infilata tra tuttotace e spersa) con una naturalezza che, anch’essa commuove, dopo un lungo collegamento in streaming con arya, che sussurrava temendo di svegliare la creatura, ed è stata con noi anche lei, grazie alla tecnologia. E c’è una foto a testimonianza, tutte noi con un laptop in grembo e arya che sorride, C’è bisogno è tutta lì.
Sono state ore percorse da tantissime prelibatezze. Cucinate ‘pensando’ alle persone. Innaffiate da vini, birre, porto, mirto. Mentre ci muovevamo a casa della ‘povna come se fosse davvero la nostra, cucinando insieme, sciacquando piatti, rivolgendoci a Purci come se fosse figlio di tutte noi, e non solo di connie.
Già, Purci, il nostro meraviglioso antico romano, fortunata lei ad avere un bimbo così speciale, fortunato lui ad avere una mamma come connie, che così educati non ci si nasce, e dietro c’è tanto lavoro, quello di una mamma intelligente.
Io non so cosa cercavo quando ho aperto un blog, tre anni fa. So, invece, cosa ho trovato.
Ho trovato la sincerità spietata della ‘povna, che non fa sconti a nessuno, neppure a se stessa. Anzi soprattutto a se stessa. La ‘povna, che ti conforta, certo, ma se stai facendo (o dicendo) una cazzata te lo dice. La ‘povna, così generosa da aprirti le porte di casa sua e fartici sentire, a casa.
L’ironia pungente di connie che arriva sempre al punto, che non perde mai di vista il senso e l’obiettivo. E pure, sempre, profondamente umana. E senza le sue sottili metafore (cit.) il mondo sarebbe molto più noioso
Gli occhi di spersa, occhi che ti ascoltano, e ti leggono dentro. Spersa, che si è ricordata di noi mentre era in Bangla e ci ha portato un ricordo ed è un’altra cosa che ti commuove. Spersa che affronta la vita con gli occhi sempre spalancati, ed è una che non se la racconta.
E giovol, che di sicuro gli scippi non li teme, e che ha tenuto il timone con mano ferma prima, durante e dopo la tempesta. giovol che ha l’animo della skipper, la butta in caciara e fa una carbonara meravigliosa.
tuttotace, che fa dell’equilibrio la sua cifra, e ha il cuore grande. E non mi ha neppure uccisa quando le ho tolto le coperte nel cuore della notte.
E poi arya, che vive lontano, e che affronta un quotidiano fatto di distanze, ed è una ragazza di ferro e la aspettiamo alla prossima stazione (se no arriviamo noi, cara ed è peggio…)
Sette persone diversissime tra loro, con storie differenti alle spalle, vite professionali con nulla o quasi in comune. E pure, in questi mesi di scambi, emerse come affini in virtù di valori comuni che sono insieme collante e stimolo.
Ma su tutto, lo stupore vero, quello che coglie iome di fronte al fatto che quando c’è bisogno, ogni volta che c’è bisogno, quel meraviglioso manipolo di ragazze è lì, a tendere la mano.
Era de maggio, io no, nun me ne scordo
na canzona cantavemo a doie voce
cchiú ‘l tempo passa e cchiú me n’arricordo
fresca era ll’aria e la canzona doce