Un documentario sul Piola calciatore e gentiluomo, con immagini d’archivio inedite, testimonianze, documenti dell’epoca per ricostruire le imprese del centravanti - campione del Mondo nel 1938 con la Nazionale di Pozzo - ma anche il suo modo di vivere e vedere il calcio e la vita. “Aveva già visto – dice Francesco Marino - come sarebbe stato il calcio. Pensieri oltre il proprio secolo così come i suoi record, ancora irraggiungibili e che per questo apparterranno sempre al presente prim’ancora che al passato. Con i suoi gol ma anche con il suo esempio ha segnato un epoca, l’Era Piola, appunto. Molte di queste riflessioni sono contenute in appunti e diari ritrovati dopo molti anni dalla figlia Paola in una valigia in cantina dove Piola li aveva un po’ sepolti. Ci sono documenti sull’importanza dell’insegnamento del calcio, sulla disciplina e sulle regole per gli stranieri. Settant’anni anni fa, dopo una trasferta in Inghilterra, aveva già denunciato l’arretratezza dei nostri stadi rispetto al resto dell’Europa e previsto quanto sarebbe stato difficile per noi colmare distanze e ritardi”.
LE INTERVISTE Tra le voci inedite dello speciale c’è anche quella di Paola Piola, la figlia di Silvio che racconta così la passione del padre per il pallone. Fino alla fine. “Mio padre – ricorda - è morto per una forma davvero strana di Alzheimer che ha avuto un evoluzione rapidissima. Qualcuno ha sollevato dubbi anche sulle correlazioni con la sua vita di atleta e con la pesantezza dei palloni dell’epoca. Palloni che quando erano inzuppati diventavano pesantissimi. Quando era già molto malato l’unica cosa che riconosceva era proprio quel pallone. Quando mio figlio giocava in cortile, con le mani era capace di prendere la palla e di lanciargliela”.
E c’è poi, nella parole di Paola, il calciatore che si fonde con il padre: “L’insegnamento che ha lasciato a noi – dice - è che quando non puoi raggiungere qualcosa, un obiettivo, ti puoi sempre preparare per provare ad arrivarci. Nella sua vita dopo il calcio - quando è stato osservatore della Federazione, allenatore, docente di calcio - scriveva ancora di più di quando giocava. Idee, appunti. Formulava teorie. Poi, a tavola, ci esponeva dei pensieri. Diceva: se riuscite a seguirmi voi profani vuol dire che c’è qualcosa di buono. Non so valutare tecnicamente il contenuto di quegli scritti ma sono certa che il suo carattere sincero, schietto, poco incline al compromesso, gli ha probabilmente impedito di raccogliere quanto seminato”.
Nel documentario di Francesco Marino c’è, inoltre, un’intervista di Silvio Piola rilasciata a Carlo Nesti nel 1986, quasi completamente inedita. Contiene molti passaggi “visionari” sullo stato delle cose, sui rischi per il calcio derivanti dall’indiscriminato utilizzo di calciatori stranieri. E colpisce una sua frase sul calcio e i bambini: “forse adesso sono più organizzati – diceva Piola - ma certo noi arrivavamo dalla strada. Avevamo fame di calcio. Si giocava con le palle messe insieme con gli stracci e quando c’era un pallone vero era una festa. Adesso questi ragazzi non li vedo più. Non vedo più quello spirito. E secondo me è un problema”.
E c’è anche quel ricordo, celebre, sul suo esordio a 16 anni con la Pro Vercelli: “Si trattava di una partita con il Brescia. Lo ricordo benissimo. In campo dovete sapere che non tutti erano dei fini. C’era gente che si rimboccava le maniche e si dava da fare. A un certo punto, prima della gara, mi ha chiamato un loro difensore. Un tipo alto che mi fa: la vedi questa linea, beccaccino? Indicando quella dell’area di rigore. E aggiunge: prova a passarla e ti spezzo una gamba! Allora io sono corso dal mio capitano, al quale all’epoca si dava rigorosamente del Lei. Cosa vuoi? Mi fa Ardissone, che un bel tipo burbero… Io gli racconto e lui, guardandomi negli occhi, dice: tu prova a tornare indietro e io ti rompo il muso! Io ho pensato…che ambiente questa Prima Divisione, Ma dove son capitato?”