Eraldo Pecci racconta   lo scudetto del 1976

Creato il 04 maggio 2013 da Mbrignolo

ARTE E CALCIO (Torino). Bello essere adolescenti che amano lo sport nella Torino degli anni settanta, città che sebbene vivesse la pesante coltre degli anni di piombo dal punto di vista sportivo forniva settimanali spettacoli che non si sarebbero mai più ripetuti: Juventus e Torino entrambe sugli scudi, dopo un decennio di riflusso, sei scudetti in dieci anni, quattro titoli e la Coppa dei Campioni, la prima italiana, nella pallavolo con il Cus Torino, la finale di Coppa Korac dell’Auxilium Pallacanestro. C’era di che divertirsi.

In quello splendido decennio sportivo, si inserisce la favola di un Torino che 27 anni dopo la tragedia di Superga riesce a conquistare di nuovo lo scudetto, il suo settimo, ottavo sul campo si direbbe oggi alla luce di quello revocato nel 1927. Di quella splendida cavalcata, seguita nell’annata successiva da un secondo posto da record con 50 punti nell’era dei 2 punti a vittoria in 30 partita superato solo dai 51 punti della prima Juventus trapattoniana, è stato protagonista l’allora ventenne centrocampista Eraldo Pecci che, a 37 anni dai fatti, racconta quella che è definita nel sottotitolo “la magica stagione ’75-’76′” nel libro “Il Toro non può perdere” uscito per i tipi di Rizzoli.

E’ il ritratto del calcio semplice di allora opposto a quello troppo serio di oggi, un calcio che si mischia con la vita di tutti i giorni in quella Torino, un calcio dovesi poteva ancora scherzare e divertirsi senza dimenticare di faticare; il materiale è ottimo per una grande storia e Pecci ci mette l’arguzia e la bonomia del romagnolo arrivato in città quell’estate a soli 20 anni dopo aver saputo del suo trasferimento dal Bologna attraverso la televisione e una finestra aperta sulla via.

E’ una magica cavalcata per il primo Torino di Gigi Radice, cinque punti di svantaggio rimontati in 3 giornate, due derby su due vinti e il trionfo finale nell’unico pareggio casalingo della stagione, l’occasione in mezzo ad una festa attesa da un quarto di secolo di capire il perfezionismo del tecnico che in mezzo alla folla celebrante cerca Castellini e Mozzini per chiedere ragione di un autogoal inutile.

Una ventata d’aria fresca, una lettura che riconcilia non solo i tifosi granata ma chiunque abbia amato il calcio che è stato e, almeno ogni tanto, lo rimpiange un po’.


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